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Silvio Berlusconi? Ecco perché chi esaltava i sovietici non può criticare il Cavaliere

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Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a proposito della guerra in Ucraina (una settimana fa, venerdì e ieri) sono improntate al realismo, alla volontà di pace e al desiderio di evitare ricadute economiche devastanti per l'Italia e per il mondo: «Non posso che condividere la preoccupazione di tanti per uno sviluppo incontrollato del conflitto. Il fatto stesso che si parli, con qualche leggerezza di troppo, del possibile uso di armi nucleari significa mettere in discussione quella soglia, ben chiara a tutti persino negli anni della guerra fredda, che escludeva l'uso dell'arma atomica in un conflitto locale. Non possiamo che condividere quindi gli appelli di quanti - primo fra tutti Papa Francesco - invocano di fare ogni sforzo per giungere alla pace al più presto. Per porre fine all'orrore della guerra, e al tempo stesso per garantire al popolo ucraino il suo legittimo diritto all'indipendenza e alla libertà». Ma se neppure il Papa era stato risparmiato dall'accusa di putinismo, per aver strenuamente fatto appello alla trattativa, non poteva certo essere risparmiato il Cavaliere.

 

Infatti ha cominciato il Corriere della Sera il 17 maggio titolando: «Berlusconi giustifica Putin». Il Cavaliere non aveva affatto giustificato Putin, tutt' altro: aveva condannato la sua invasione dell'Ucraina, ma aveva criticato pure chi - come Biden - faceva dichiarazioni e scelte incendiarie invece di adoperarsi per fermare il conflitto.

Attualmente i più zelanti paladini di un atlantismo acritico, appiattito sulla Casa Bianca, sono proprio coloro che vengono da sinistra. Eppure nel 1949 il Pci e le Sinistre (come pure il Msi) votarono contro l'adesione dell'Italia alla Nato (e anche la sinistra diccì era critica). Oggi gli atlantisti dell'ultima ora - non avendo una storia coerente - cercano di rimpiazzarla con l'eccesso di zelo e pretendono pure di fare gli esami di atlantismo a chi è sempre stato "occidentale".

Questo ha detto, ironizzando, il Cavaliere ieri a Napoli: «A proposito di atlantismo io apprezzo molto lo zelo atlantista di queste settimane del Partito democratico, vorrei solo ricordare che la storia della sinistra italiana non è sempre stata questa. Non parlo solo dell'opposizione feroce del Partito comunista all'ingresso dell'Italia nella Nato, né del sostegno all'invasione dell'Ungheria: voglio ricordare, in tempi molto più recenti, negli anni '80, l'altrettanto feroce opposizione alla decisione del governo Craxi di installare i cosiddetti euromissili per rispondere alla minaccia dei missili sovietici puntati direttamente contro il nostro Paese». Ha concluso: «Siamo i soli a non dover chiedere scusa di nulla nel nostro passato, ad essere sempre stati - come lo siamo oggi dalla parte della libertà, della democrazia, dell'Europa, dell'Occidente».

NON SUDDITI
Certo, chi ha un passato da far dimenticare non può permettersi libertà critica, ma chi è sempre stato atlantista - fa capire Berlusconi - può permettersi di stare nella Nato da protagonista e non in modo servile. Per questo il Cavaliere rivendica di nuovo quello che vanta sempre come il suo capolavoro di politica internazionale, il Trattato di Pratica di Mare: «Voglio ricordarvi di aver dato all'Italia un ruolo da protagonista nella politica estera, in pieno accordo con i nostri alleati dell'Occidente, portando nel 2002 allo stesso tavolo George Bush e Vladimir Putin, gli Stati Uniti e la Federazione russa, per firmare il trattato che pose fine a più di cinquant' anni di guerra fredda».

PRATICA DI MARE
In effetti era la strada giusta. Se si fosse tenuta quella direzione l'imperfetta democrazia russa avrebbe avuto un'evoluzione positiva e si sarebbe integrata nell'occidente con cui Putin, allora, voleva collaborare pacificamente. Berlusconi adesso dichiara di voler far rinascere «lo stesso spirito» per «fare oggi un altro passo che non ha alternative, un passo verso la sicurezza comune per offrire alle nuove generazioni un avvenire di sicurezza, di prosperità e di libertà». Ma è difficile perché quella strada è stata abbandonata (anzitutto dall'Occidente) da più di dieci anni e oggi dilaga lo spirito opposto.

Basta vedere le reazioni alle sue parole. Il quotidiano Domani sabato ha titolato: «Adesso Draghi deve fare i conti con la mina vagante Berlusconi». E nel sottotitolo ha aggiunto che «il leader di Forza Italia straparla» sull'Ucraina.

 

Eppure il Cavaliere ha esternato le stesse preoccupazioni che, pochi giorni fa, ha manifestato l'editore e fondatore di Domani, Carlo De Benedetti, in una clamorosa intervista al Corriere della Sera. Straparlava anche l'Ingegnere secondo il Domani? O piuttosto i due - divisi su tante cose, ma accomunati da concretezza e realismo - hanno il merito di suonare l'allarme sulle conseguenze devastanti che sta già avendo la guerra, su quelle apocalittiche che si annunciano e sull'assurdità dell'invio delle armi da parte dell'Occidente. Entrambi si sono espressi per una urgente soluzione negoziale e hanno criticato la leadership di Biden. De Benedetti ha tuonato: «Se l'America vuol fare la guerra a Putin la faccia, ma non è l'interesse dell'Europa. Noi non possiamo e non dobbiamo seguire Biden» (poi, a differenza di Berlusconi, ha pure aggiunto che la Nato «ora non ha più senso»).

SENTIMENTO DIFFUSO Anche Repubblica ha messo in prima pagina la foto di Berlusconi e Putin: «L'amico russo». Sarebbe interessante sapere come quel giornale valuta le dichiarazioni di De Benedetti che ha costruito la storia e l'identità del quotidiano scalfariano. O come giudica le considerazioni di un grande intellettuale di sinistra come Jürgen Habermas del tutto simili a quanto ha detto Berlusconi. Repubblica critica «il lascito politico» dei governi Berlusconi che sarebbe «la dipendenza estrema dell'Italia dal gas russo». Ma perché la Germania ha fatto la stessa scelta, ancor più marcatamente? Lì non governava Berlusconi. Inoltre non risulta che il Pd, che domina da dieci anni, abbia cambiato quella scelta. Anzi, visto che l'editoriale di Stefano Cappellini elogia oggi «il Pd di Enrico Letta» perché è «in scia» con Draghi, cioè con Biden, gioverà ricordare questo titolo di Repubblica del 26 novembre 2013, al tempo del governo Letta: «Italia -Russia, firmati 28 accordi. Letta: "Da intese nuovi posti di lavoro"». Letta dichiarava: «Noi abbiamo un drammatico bisogno di crescere, di creare posti di lavoro. C'è una ripresa da agganciare e in questo senso il rapporto con la Russia ci può dare posti di lavoro in settori per noi strategici». 

Secondo Letta fu una delle giornate «più intense e produttive» per il governo. La storia avrebbe anche altri capitoli. In ogni caso ora conta il presente. Tutti i sondaggi mostrano che le dichiarazioni di Berlusconi rispecchiano ciò che pensa la maggioranza degli italiani. Ricomporre la frattura fra il Paese e il Palazzo è vitale. Come pure evitare il tracollo economico.

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