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Crisi di governo, basta mortificare la volontà popolare: perché le urne sono necessarie

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 Mario Draghi

Corrado Ocone
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Il governo Draghi nacque per fronteggiare l'emergenza pandemica, cioè per gestire la vaccinazione di massa, e soprattutto per bene impostare le politiche di riforma e di spesa legate ai fondi europei e far quindi ripartire l'economia.

Ad un anno e mezzo di distanza, altre emergenze, imprevedibili e molto gravi, sono nel frattempo sorte: dalla guerra in Ucraina, che ha via via assunto la fisiononomia di una nuova "guerra fredda" fra Occidente e resto del mondo, alle difficoltà di approvigionamento energetico e non solo, fino al ritorno di una forte inflazione che rischia di trasformarsi presto in vera e propria recessione.

 

Intanto, le spinte centripete in seno alla maggioranza di unità nazionale sono aumentate così tanto da non garantire a Mario Draghi di governare efficacemente. In molti, nel mondo politico e non solo, vuoi per interesse o vuoi per convinzione, ritengono che invece, nonostante il venir meno dell'appoggio dei 5Stelle di Giuseppe Conte, si possa ripartire con un nuovo "patto politico" che traghetti il Paese fino alla normale fine della legislatura. Si eviterebbe così, si dice, il fisiologico vuoto di potere che si crea nel periodo precedente o immediatamente successivo alle elezioni, che, se anticipate in autunno, porterebbero sicuramente all'"esercizio provvisorio" del bilancio.

Che questi ragionamenti abbiano una propria logica, non è possibile negarlo. Essi però non fanno i conti con un'altra emergenza che il nostro Paese vive da un bel po' e che viene per lo più sottovalutata, non calcolando o fingendo di non vedere i rischi che essa porta con sé (e di cui la scarsa partecipazione alle ultime tornate elettorali è indice manifesto). Mi riferisco a quell'emergenza democratica che da un decennio porta alla nascita di governi al di fuori del Parlamento e che non rispecchiano la volontà popolare, a cui il Parlamento è costretto ad adeguarsi con l'alibi delle situazioni emergenziali. Sia chiaro, nulla di illegittimo: non solo le forme sono rispettate, ma a ben vedere la democrazia non è democraticismo e prevede che il voto popolare sia mediato con altre esigenze di sistema.

 

Ma una cosa è questa mediazione, un'altra è la completa mortificazione di ogni istanza proveniente da quel popolo che pure, nei limiti previsti, dovrebbe esercitare per Costituzione la propria sovranità. Oltre la forma, c'è, grosso come un macigno, un problema di sostanza politica che non può essere più rimosso. Lo stesso "atipico" governo Draghi aveva un senso proprio se concepito come prodromico al ripristino in Italia al più breve di una sana dialettica democratica. Abbiamo invece dovute assistere in questi mesi persino a politici che, alla ricerca di un fatidico "centro", lavoravano per riproporre un governo Draghi anche dopo il voto. Il tutto senza destare un minimo di stupore o inquietudine nelle altre forze politiche o fra i commentatori à la page. Quella sostanza politica su accennata è poi sostanziata da un altro elemento: la forte astensione registrata nelle recenti elezioni parziali, ma anche quanto ci attestano quotidianamente i sondaggi, fanno capire che i rapporti di forza presenti in Parlamento sono "drogati" e appartengono a un'altra stagione. Ridisegnarli alla luce di nuove elezioni darebbe agli stessi partiti una maggiore forza politica e più autorevolezza. Senza di loro, la democrazia non campa.

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