Mafia: le mani dei boss su patrimonio artistico Nebrodi, tre arresti nel messinese (2)
(AdnKronos) - Le investigazioni, che avevano già consentito di trarre in arresto, il 6 ottobre 2017, una coppia di imprenditori edili per trasferimento fraudolento di valori, hanno altresì permesso di documentare l'intestazione fittizia, in favore di ben 11 complici – anch'essi destinatari della misura in esecuzione – di 2 locali notturni e 1 stabilimento balneare ed un'attività di compravendita di auto usate, ubicati sulla fascia tirrenica della provincia di Messina. Contestualmente, è stata data anche esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo disposto nei confronti delle medesime attività commerciali, del loro compendio aziendale, dei conti correnti e depositi bancari, nonché di 5 autovetture nella disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di oltre 2 milioni di euro. L'inchiesta è stata avviata nel settembre 2015 quando un imprenditore edile si era rivolto ai Carabinieri del Comando Provinciale di Messina segnalando, ancorché solo in parte e senza volere sottoscrivere in un verbale le sua affermazioni, quanto gli stava accadendo e cioè di essere vittima di un tentativo di estorsione. L'imprenditore si era aggiudicato, a seguito di una pronuncia giurisdizionale del TAR di Catania conseguente ad un suo ricorso, l'appalto indetto dal Comune di Mistretta per i lavori di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico contemporaneo nebroideo denominato “Fiumara d'Arte” - opere finanziate dalla Comunità Europea, con un importo a base d'asta pari ad 1 milione di euro ed aggiudicati alla sua 'Ati' con un'offerta pari ad 802.000 euro e spiegava che era stata avvicinato dal consigliere comunale di Mistretta, Vincenzo Tamburello, "il quale gli aveva rappresentato che la ditta che aveva ottenuto l'appalto prima del suo ricorso aveva già versato la somma di 50.000 euro ad alcuni soggetti del luogo, i quali li avevano successivamente restituiti dal momento che quella ditta era stata poi estromessa dai lavori", dicono gli inquirenti. Pertanto, Tamburello gli aveva richiesto di corrispondere la somma di 35.000 euro - da devolvere ad una donna che veniva indicata come la “signorina” la quale aveva un fratello detenuto ( per le cui spese legali sarebbero stati destinati i soldi versati alla donna) e inoltre lo invitava ad assumere nei propri cantieri tre operai dei quali gli avrebbe successivamente indicato i nomi e infine lo esortava a rifornirsi del conglomerato cementizio presso l'impianto dei fratelli Lamonica e assicurandogli che assolvendo a questi obblighi, non ci sarebbe stata alcuna richiesta estorsiva né danneggiamenti di sorta aggiungendo che, per il resto delle ulteriori forniture, egli avrebbe potuto rivolgersi al libero mercato. Le investigazioni immediatamente avviate attraverso servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e acquisizioni documentali permettevano di riscontrare ampliandole le prime dichiarazioni rese informalmente dall'imprenditore, identificando i complici di Tamburello e ricostruendo i rapporti tra loro.