La più antica civiltà del mondo, l’Egitto dei Faraoni, ha creato non solo il primo Stato, ma anche una quantità di idee che ancora permeano la nostra civiltà: dal giudizio dell’anima nell’aldilà alla stessa origine delle lettere del nostro alfabeto. C’è dunque un ricco immaginario egizio nella cultura popolare, dalle piramidi ai geroglifici. È vero che una parte di esso è anche inquietante: dal faraone prototipo del tiranno nel racconto biblico su Mosè che libera gli ebrei dalla schiavitù egizia, a quella prevalenza di reperti funebri in ciò che degli antichi Egizi è rimasto, da cui una quantità di film su mummie che si risvegliano.
Ma alla fine il tutto contribuisce a un mito che perdura nei millenni per tornare in continuazione: dai racconti di Erodoto alla passione per l’Egitto di conquistatori come Alessandro Magno, Cesare o Napoleone; dalle avventure degli egittologi culminate nella favolosa scoperta di Tutankhamon (con annessa leggenda sulla sua maledizione), al racconto di opere liriche come Il flauto magico di Mozart o l’Aida di Verdi, o dei kolossal hollywoodiani.
L'archeologia della moda vive in passerella e al cinema
La moda è creatività, estro, fantasia, ma anche attenzione alla storia, alle radici, al passato attraverso...IL MONDO DEI MORTI
Appunto questo mito è ora riproposto da Tesori dei Faraoni, alle Scuderie del Quirinale dal 24 ottobre al 3 maggio. Un grande progetto culturale che porta a Roma una selezione di 130 capolavori dell’arte dell’Antico Egitto, provenienti dal Museo Egizio del Cairo e dal Museo di Luxor, molti dei quali esposti per la prima volta fuori dal loro Paese; e che allo stesso tempo di riannoda alle storiche relazioni tra quell’Egitto che fu l’inizio del mondo antico e quella Roma che fu il suo culmine, e che ha riempito la Città Eterna di obelischi e imitazioni di piramidi. Ma dialoga anche con gli obiettivi del Piano Mattei, in ideale ponte tra passato e presente.
Appunto, uno dei grandi lasciti che l’Egitto ha dato al mondo è stato l’importanza dell’oro, che nel mondo dei faraoni per la sua incorruttibilità e splendore era considerato la materia di cui gli stessi dei erano fatti, e un simbolo dell’eternità. Ovviamente alcune mentalità sono anche cambiate, e ad esempio una Collana di Mosche d’Oro che veniva data come onorificenza militare ci testimonia di un apprezzamento per animali come mosche e scarabei, che in quanto riciclatori di letame noi schifiamo e gli egizi invece esaltavano.
Quella decorazione sta assieme al sarcofago dorato della regina Ahhotep II e al collare di Psusennes I all’inizio del percorso espositivo, a ricordare come gli egizi inventano l’ornamento come linguaggio politico e riflesso di una teologia del potere. Altra eredità dell’Egitto, il concetto della morte come passaggio e trasformazione. Il passo successivo è appunto attorno al monumentale sarcofago di Tuya, madre della regina Tiye. Le statuette di quegli shabti che avrebbero dovuto lavorare per il defunto, i vasi canopi dove venivano conservate le viscere del defunto mummificato, un papiro del Libro dei Morti ci descrivono la preparazione al viaggio nell’adilà quasi come una scienza esatta.
Chi ha paura di Giovannino Guareschi?
Giovannino Guareschi è ancora oggi un caso scottante, pure nella cosiddetta “cultura cattolica” (quel...SCHIAVI LIBERI
Uno stereotipo sul mondo egizio è quello di una società fortemente gerarchizzata. Ora, è vero che i faraoni erano sovrani divinizzati, ma ad esempio gli operai delle piramidi non erano schiavi, bensì uomini liberi. Il cui lavoro era una sorta di pieno impiego a cura dello Stato negli intervalli del calendario agricolo, e tra loro è stato addirittura attestato il primo sciopero della Storia. La mostra ricorda poi che col tempo in Egitto divenne sempre più importante un cero medio di scribi, soldati, artigiani e artisti, la cui ascesa era possibile per il merito individuale.
«Questa mostra racconta non solo i faraoni, ma anche le persone che li circondavano», spiega il curatore Tarèk El Awady. Il percorso mostra infatti le tombe di nobili e funzionari, come quella di Sennefer, che svelano la quotidianità del potere, la devozione e il senso del dovere di chi serviva il faraone come garante dell’ordine cosmico. E la poltrona dorata di Sitamun, figlia di Amenofi III: un oggetto domestico, usato in vita e poi deposto come dono nella tomba dei nonni. Una sezione è dedicata alla “Città d’Oro” dove lavoravano gli artigiani di Amenofi III, scoperta nel 2021 da Zahi Hawass: l’egittologo conosciuto anche tramite la tv italiana che è stato anche ministro, e che firma il catalogo dell’esposizione.
La mostra culmina nel mistero della regalità divina, con alcune statue e rilievi tra le espressioni più alte dell’arte faraonica: l’Hatshepsut inginocchiata in atto d’offerta, la diade di Thutmosi III con Amon, la Triade di Micerino, fino alla splendida maschera d’oro di Amenemope, dove il volto del re, levigato e perfetto, diventa icona di un corpo che appartiene ormai al divino. In chiusura, la Mensa Isiaca – eccezionalmente concessa dal Museo Egizio di Torino – riannoda il filo simbolico che da Alessandria conduce a Roma. Come sostiene appunto Zahi Hawass, «il più grande monumento mai costruito dall’Egitto non fu una piramide o un tempio, ma l’idea stessa di eternità». Assieme alla mostra, un ricco calendario di attività didattiche. Da laboratori per i più giovani a seminari in cui si ricorda il mito egizio nella musica o nel cinema.

