A maggio un tempo (non secoli fa, qualche decennio addietro) non fiorivano solo le rose ma anche i fioretti. In onore della Madonna, nel mese a Lei dedicato. Piccole rinunce, penitenze minime, ma per i ragazzini potevano rappresentare sacrifici veri e propri: non mangiare dolci e cioccolata per due settimane, non dire parolacce e non dire bugie (sempre per una o due settimane), mettere da parte qualche soldino sottratto alla “paghetta” per mandare aiuti ai bambini africani... Pratica diffusa, anche in altri periodi dell'anno, a cominciare, ovviamente, dalla Quaresima.
A lungo l'espressione “fare un fioretto” è stata legata a una di quelle pratiche religiose considerate dai più – anche cattolici – desuete, “ferrivecchi” legati ad una devozione popolare polverosa e fuori tempo massimo. Guardati con sufficienza, con aria di compatimento, spazzati via quasi del tutto. Oppure no? Il fioretto balza inaspettatamente agli onori della cronaca odierna. Perché? A Padova, giorni fa, la premier Giorgia Meloni, per sostenere la candidatura a presidente della Regione Veneto di Alberto Stefani (che poi ha vinto) davanti all'allettante proposta di uno spritz o di un calice di Amarone, ha risposto: no, grazie, niente alcolici, fino a Natale, «ho fatto un fioretto...».
Bruxelles, gruppo di islamici assalta il mercatino di Natale
Un gruppo di musulmani, probabilmente immigrati islamici, ha preso d'assalto la serata di apertura dei mer...Meraviglia e stupore, e via alla ridda di commenti, illazioni, ipotesi. Così il fioretto diventa una “notizia”, anche perché forse non tutti sanno, o ricordano, cosa voglia dire. Da ricordare, in ogni caso, almeno un precedente illustrato tra i politici: Silvio Berlusconi. Il quale, durante un'intervista concessa a Bruno Vespa, aveva spiegato che aveva rinunciato, per motivi religiosi, a fumo, gioco e ballo, in momenti critici della sua vita. La pratica del fioretto, vip e politici a parte, dunque non è estinta, anzi, pian piano, sta recuperando posizioni, anche se a volte assume contorni un po' nebulosi, sconfinanti in un rito scaramantico, alla superstizione.
Un recente sondaggio realizzato dal sito skuola.net ha rivelato che il 24 per cento dei ragazzi che affrontano la maturità si affidano, per superarla, a preghiere, pellegrinaggi e proprio ai fioretti. Rivolti a Gesù, alla Madonna e molti santi. Tanto che ce n'è più di uno specializzato nella materia, a cominciare da san Giuseppe da Copertino, patrono degli studenti per eccellenza. Niente di male, s'intende.
Così come si sono moltiplicati, negli ultimi tempi, i pellegrinaggi per studenti allo scoccare dei “100 giorni” all'esame di maturità, solitamente verso santuari locali, come quello di San Gabriele dell'Addolorata in Abruzzo o il santuario della Madonna di Montenero in Toscana. Oggi le rinunce promesse non sono tanti i dolci, la pizza, i risparmi, quanto, piuttosto, restare lontani dai social, disconnettersi a tempo determinato, pur di passare l'esame, il colloquio, la prova. Il massimo concessione concepibile, pur di avere un “aiutino” dall'alto. Un fioretto, in realtà è un atto di promessa realizzato nei confronti di Dio che dovrebbe “obbligare” moralmente il fedele a compiere un'azione specifica, sia per ripagare un beneficio ricevuto da essa, sia per una questione di fede e devozione.
È un impegno, un proposito che di solito viene offerto alla Beata Vergine Maria, a Gesù, ai santi a cui si è devoti. Proprio come si dona un fiore, questo è del resto il suo significato originale. In quanto ai giuramenti solenni rivolti a Dio meglio andare cauti. La Chiesa lo sottolinea basandosi sulle parole stesse di Gesù: «Il vostro parlare sia: “Sì, sì; no, no”» (Mt 5,37). Il punto centrale, secondo la prospettiva di fede. è il concetto di sacrificio, oggi altrettanto desueto e poco amato. Sacrificio ha le sue radici nell'espressione latina sacrum facere, ovvero rendere sacro ciò che si fa, dedicare qualcosa al sacro attraverso un gesto rituale.
Poi si è passato ad un significato più allargato, che include il senso di rinuncia, oppure il gesto votato a irrobustire la volontà personale, una forma di autodisciplina anche in senso educativo. Ancora, come qualcosa che si fa “per gli altri” (risparmiare per dare un contributo a un'opera buona, non sprecare il cibo o l'acqua...). Scopi che possiedono una loro nobiltà, ma il senso originale viene in qualche modo oscurato, ossia fare di tutto un gesto d'amore verso Dio. Rinunciare, sì, a qualcuna di quelle cose che per il mondo sono importanti, per seguire altro, incamminandosi verso la vera felicità.




