E quando c’è troppa politica, e quando ce n’è poca. E quando è troppo sobria, e quando è troppo eccessiva... Ecco, per dirla con i sempre rimpianti Sandra e Raimondo, che barba, che noia, che barba... Perché la prima della Scala, un rito laico diventato sacro per la cultura musicale del nostro Paese, è assimilabile ad un derby calcistico, con le curve sempre pronte a fronteggiarsi su tutto, per tutto, finendo con lo scordarsi dell’opera, del canto e dello spartito. Stavolta, per fortuna della cultura, la musica ha messo all’angolo pailletes e cotillon, manifestanti d’ordinanza e presenzialisti d’occasione.
Ed è esattamente questo quel che è avvenuto ieri a Milano, per la prima della Scala, con i pro-Pal, centri sociali, sindacati di base e frattaglie varie sotto le finestre del Comune (per i non milanesi Palazzo Marino è il dirimpettaio del teatro) che hanno tentato di mettere in scena la loro contro prima, realizzando solo un miserevole spettacolino pro-Gaza, insultando Israele e il governo Meloni, in diretta competizione con il triste look sfoderato da Mahmood (roba tipo pistolero messicano scappato negli Usa, come nei B movie), mentre il pubblico della Scala ha squadernato un guardaroba sobrio, ma non scadente, senza fronzoli, ma stiloso, tenendo d’occhio più lo spartito che la lista degli invitati.
Certo, il papillon color aragosta del prezzemolino Antonio Caprarica, giornalista e scrittore, o la camicia griffata di nerazzurro del presidente dell’Inter, Giuseppe Marotta («ho sempre qualcosa di nerazzurro addosso...») che si è consolato (per la durata dell’opera...) con il milanista, Maurizio Lupi, leader di Noi moderati («pure quest’anno sto in platea, eh», ma con la moglie stavolta), senza scordare il total black di Pierfrancesco Favino, che sembra aver preso gusto con le prime milanesi, al quale fa da controcanto la raffinata classe del “collega” Giorgio Pasotti, impegnato proprio in questi giorni a terminare il suo nuovo film (“Sotto a Chi tocca”, «vorrei portarlo a Venezia, ma anche Cannes va bene»...) non sono passati inosservati. Ma senza toccare le vette del passato, quando abiti stile evidenziatore o smoking fuori dal mondo mandavano sudi giri gli esperti del settore look. «È davvero una prima sobria», dice la collega Candida Morvillo, firma del Corriere della Sera, mentre discettiamo delle presenze nel foyer.
Forse, ma proprio forse, è un segno dei tempi. O, più semplicemente, la cifra del rispetto per il rito della Prima: si celebra la musica, mica la propria testimonianza in vita.
DONNE IN TOTAL BLACK
Del resto anche l’attesissima Barbara Berlusconi, accompagnata dal compagno, Lorenzo Guerrieri, si muove in quel solco. Quale membro del Cda del Teatro Alla Scala, la figlia delle ex premier ha scelto, come molte altre signore di questa prima scaligera, a partire da Chiara Bazoli, compagna del sindaco, Giuseppe Sala, un total look Armani. E quello è stato il modo migliore, soprattutto da parte delle spettatrici, per rendere omaggio a Re Giorgio, un «vero amico del teatro», come ricordano qui, al Piermarini. Insieme allo spirito di Ornella Vanoni, i due hanno volteggiato per il teatro, al quale erano profondamente legati.
E poi, sì, certo, la politica guidata dalla senatrice a vita Liliana Segre, alla quale è stata riservata la poltrona d’onore nel palco reale. Quando è apparsa in sala, la platea e i palchi le hanno tributato un caloroso applauso, anticipando l’esecuzione dell’Inno di Mameli. «Sono io che voglio bene alla Scala», afferma la senatrice a vita, commentando in modo garbato e elegante gli applausi che pure ieri ha ricevuto al suo ingresso nel palco reale per la Prima di “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk”. Un’opera «piuttosto scandalosa», ha ammesso la Segre, ma «sempre interessante». Durante il primo intervallo il sindaco Sala e il sovrintendente della Scala, Fortunato Ortombina, hanno accompagnato buona parte degli ospiti del palco centrale, a partire dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli (stavolta davvero sobrio nella mise) a salutare il direttore Riccardo Chailly, gli artisti e il direttore del coro del teatro. Con loro anche il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi: «Straordinaria inaugurazione della Scala. La scelta coraggiosa di aprire la stagione con Shostakovich si è rivelata davvero felice». «Una regia bellissima», sottolinea dal canto suo Angelo Crespi, direttore della Pinacoteca di Brera di Milano.
POLEMICHE ROMANE
A completare il “pacchetto di mischia” della politica, schierato per la Prima, il presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso, il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, la vicepresidente della Camera, Anna Ascani, e la sottosegretaria di Stato americana, Sara Rogers. «Troppe assenze? Ce ne faremo una ragione, noi viviamo bene anche da soli...», dice il presidente della Lombardia, replicando alle stucchevoli polemiche sulle mancate presenze romane, «la Scala regala una Lady Macbeth totalmente inedita creando una messa in scena movimentata quanto coinvolgente, degna di una Prima». Fontana, poi, dribbla le domande insidiose. Ma meglio Pontida o la Scala? «Son due cose diverse, entrambe importanti, ma non paragonabili». «Democristiano», sussurrano da dietro...
A rompere lo schema Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera. «È un’opera anti-stalinista e l’amicizia tra il popolo italiano e il popolo russo è solidissima», ma «sono perplesso sulla scelta», perché «stride molto con i valori di rispetto delle donne». «Un’opera alternativa ma un classico», ribatte il ministro Giuli. Dunque, troppo o troppo poco? «Il teatro ha registrato il tutto esaurito, c’è il record d’incassi, le sembra una prima sobria? La Prima della Scala è la prima per antonomasia, mi sembra che basti no?», chiosa - chiudendo il cerchio - il sovrintendente Ortombina.
Dieci minuti di applausi, per lui. Molti di più per l’opera. Alla faccia della sobrietà...




