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Lo spauracchio degli americani: far la fine dell'Europa unita

Obama non sventola la superiorità del modello socialistoide alla Bruxelles, ma ne segue la strada: tasse e zero occupazione

Andrea Tempestini
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Che cosa dicono oggi di noi italiani, in America? E' questa la immancabile domanda degli amici in visita per le feste natalizie a New York. La parte non sempre detta, ma sottintesa, e': “adesso che non c'e' piu' Berlusconi ?”. L'idea che le sorti, l'immagine, la dignita' del nostro paese negli Usa fossero legate   a Silvio e alle sue gesta notturne e' sempre stata piu' una paranoia della sinistra nostrana, con una minima eco nella piu' liberal della frazione dei democratici di Manhattan o di San Francisco, che non un cruccio vero della grande maggioranza dell' opinione pubblica Usa. Chi non ha a che fare con l' Italia non ha mai avuto opinioni sui nostri governanti, e nel Berlusconi con la Ruby ha colto, come massimo di negativita', un elemento di continuita' con la visione pittoresca, qualunquista, e con tratti di condiscendenza razzista che ha origine lontane: nel fascismo della seconda guerra mondiale, nella mafia. Pessimi accostamenti che predatano Silvio, ma che sono peraltro maestosamente controbilanciati dalla idolatria per l'arte, la cultura, la musica classica e operistica, e la cucina. Negli anni recenti, anche l'eccellenza della tecnologia (dalle macchine utensili al mito della Ferrari) ha affiancato l'industria del lusso, della moda e del design nel presentare il Bel Paese per quanto i suoi migliori ambasciatori riescono a sciorinare (e a vendere: nel vino con le bollicine gli Usa importano da anni piu' prosecco che champagne).  Chi vorrebbe fare  affari con l'Italia, e invece non vi investe, e' frenato dai sistemi burocratico, giudiziario, regolamentare che sono scoraggianti, non dal bunga bunga. Dunque, un Berlusconi in meno e un Monti in piu' fa poca differenza reale, se non cambiano le cose serie. Silvio si era solo guadagnato uno status tutto suo nel gossip del  Gotha politico internazionale, che non sara' facilmente eguagliabile: e questo e' tutto su di lui agli occhi degli americani. Ma voltata la pagina sul gabinetto italiano, non e' affatto sparita l'attenzione Usa, una attenzione questa volta nuova, su Roma e sull'Europa.  E agli amici italiani curiosi sul post-Silvio cosi' spiego quale sia questa attenzione. Negli Usa vedono Atene, Lisbona, Roma e in generale l'Europa Unita come la possibile, e temuta, destinazione degli Stati Uniti. Naturalmente, per i conservatori la prospettiva di questa fine e' orrifica, e la usano come modello da tenere bene in mente per non replicarlo. Di fatto, il “non dobbiamo finire come in Europa” e' lo slogan di Romney e degli altri del Gop quando parlano di ricette economiche per salvare l'America: ridurre il debito e il deficit, tagliare le spese pubbliche, liberare commercio e lavoro dai lacci della iperregolamentazione, calibrare entrate e uscite perche' gli istituti della assistenza medica e pensionistica non assorbano eccessive risorse sottraendole al settore privato. La sinistra europea puo' sentirsi orgogliosa di aver dettato la linea a Obama, che della socialdemocrazia europea e'un fervente estimatore nei suoi atti di governo: stimoli a base di tasse che non creano occupazione, mutua pubblica, finanziamenti per imprese verdi che falliscono. Lui non ha mai sventolato esplicitamente la superiorita'del modello socialistoide alla Bruxelles, perche' l'elettorato Usa resta fondamentalmente pro-capitalismo e pro-liberta' individuali. Ha lasciato che lo facessero i suoi alleati in accademia, come il campione dei keynesiani di sinistra Paul Krugman, che sul New York Times ha scritto, 10 gennaio 2010, “l'Éuropa  e' un successo economico, e questo successo dimostra che la socialdemocrazia funziona”.  O come Jeremy Rifkin, che nel libro “Il sogno europeo” del 2004 lancio' il suo manifesto : “Il sogno europeo con la sua enfasi sulla responsabilita' collettiva e la sua consapevolezza globale rappresenta la migliore aspirazione dell' umanità per un migliore domani”.   “Queste visioni sono ora diventate un po' imbarazzanti, intellettualmente parlando” ha commentato Bret Stephens sul WSJ il 3 gennaio, in un articolo dal titolo perfettamente ricollegabile alle risposte che dispenso agli amici miei: “2012: un Referendum Americano sull'Europa”. Cioe',  da una parte il GOP che mette in guardia contro un destino europeo, e dall' altra Barack che, nella sostanza, vuol trasformare un domani Washington nella Atene di oggi.  “Sarebbe assurdo dire che gli americani non hanno nulla di meritevole che possano apprendere dal resto del mondo, Europa compresa”, commenta Stephens. “Ma talvolta le lezioni di maggior valore sono quelle negative”. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi

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