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L'agenzia delle Entrate accusa i Caf: "Hanno truccato i 730"

Lucia Esposito
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C' è un groviglio che non si riesce a dipanare fino in fondo. Una triangolazione opaca sulla quale la Corte dei conti prova a fare luce da almeno due anni. Follow the money (cioè segui i soldi): è il metodo migliore per le indagini finanziarie, dicono gli inglesi. Ed è un po' quello che stanno facendo i magistrati contabili, seguendo appunto un' enorme matassa di denaro che parte dalle tasche dei contribuenti, passa attraverso i Centri di assistenza fiscale per poi arrivare nei conti di 50mila onlus e fondazioni.  Si chiama «cinque per mille» ed è il meccanismo di donazioni che ruota attorno alle dichiarazioni dei redditi, in particolare il modello «730», ma non solo. Il «cinque per mille» è la quota di imposte sul reddito che può essere donata a enti e organismi vari. Si tratta di un «giro d' affari» di oltre 3 miliardi di euro, considerando tutti gli «oboli» dal 2006, da quando il sistema è partito. È nella cinghia di trasmissione - vale a dire nel passaggio di quattrini dal contribuente donante ad associazione beneficiaria - che qualcosa non funziona o, per lo meno, appare poco chiara. Già lo scorso anno la Corte dei conti aveva acceso un faro sui Caf e sul ruolo di intermediari in «potenziale conflitto di interesse» sollecitando l' Agenzia delle Entrate a eseguire controlli stringenti per «tutelare la libera scelta dei contribuenti». Che cosa non va? Molti Caf sono legati alle associazioni presenti nell' elenco dei beneficiari e godrebbero, quindi, di un vantaggio lampante perché le donazioni possono essere «indirizzate». Di qui il fascicolo della Corte, che ha ottenuto dall' Agenzia delle Entrate una prima «rilevazione», dalla quale, come riferito ieri dal Sole24Ore, sono emersi circa 500 modelli irregolari su 5.603: di fatto quasi il 10 per cento (8,9 per cento per l' esattezza) delle donazioni «cinque per mille» sarebbero «fuori legge»: vuoi per l' assenza dell' atto con cui il contribuente manifesta la volontà di donare parte dell' Irpef, vuoi per «correzioni» ed «errori di digitazione» apparsi sospetti.  Le verifiche su cui le Entrate hanno riferito ai magistrati contabili riguardano il 2014, ma gli accertamenti proseguiranno anche per l' anno in corso con maggiore profondità. La prima indagine sul «cinque per mille» ha riguardato, nel dettaglio, Caf Mcl (Movimento cristiano lavoratori), Caf Acai (collegato all' Associazione cristiana artigiani italiani), Caf Servizi di base (collegato a Rete Iside Onlus), Caf Anmil (dell' Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro), Caf Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani). L' indagine, insomma, è parziale e non ha preso di mira i centri di assistenza fiscale collegati ai sindacati, che hanno diverse fondazioni nella lista del «cinque per mille». La Cgil, a esempio, gode di una rete con centri fiscali sparsi su tutto il territorio nazionale: nel 2015 ha «gestito» circa 3 milioni di modelli «730». Il prossimo anno magari il quadro sarà completo. Nel 2014, la Corte aveva sollecitato una serie di interventi normativi. Una riforma capace di «individuanre i soggetti beneficiari, da inserire in elenchi stabili, anche al fine di eliminare la necessità di procedere annualmente all' iscrizione». Tanta confusione che, ovviamente, contribuisce a generare caos e, in qualche modo, può agevolare chi vuole gestire quel denaro in maniera poco trasparente. Anche per questo motivo era stata suggerita «una più rigorosa selezione delle stesse, al fine di non disperdere risorse per fini impropri». Ma il governo di Matteo Renzi ha fatto orecchie da mercante. Francesco De Dominicis

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