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Ecobonus e cassa in deroga, il governo usa i soldi del fondo per la Libia

Nel 2009 avevamo promesso a Gheddafi 3,5 miliardi per le infrastrutture. Ma il tempo (e le situazioni) passano, e così stiamo usando quel fondo per "allungare" la coperta dei nostri conti

Giulio Bucchi
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Benedetta Libia, benedetto Gheddafi, benedetta Primavera Araba. No, l'islam e le dittature non c'entrano. Quella creata da Enrico Letta e del suo governo è solo una questione di soldi. Molti, maledetti e subito. E così, colmo dei colmi, Tripoli è diventato, per usare l'espressione efficace dell'Huffington Post, il "bancomat" dell'esecutivo. Ricordate l'accordo stipulato nel 2009 tra il Colonnello e l'allora premier Silvio Berlusconi? L'Italia si impegnava a risarcire il paese nordafricano per i danni del colonialismo finanziando con 3,5 miliardi di euro la costruzione di nuove infrastrutture sul suolo libico. La somma ingente, sostenuta grazie ad una addizionale del 4% sull'Ires pagata dall'Eni, l'avremmo versata nel 2024. Ma in mezzo ci sono state la rivolta contro il Raìs, la morte di Gheddafi, il cambio di regime. Forse anche per questo, in concomitanza con una crisi durissima e la necessità di trovare fondi nei modi più disparati, il nuovo esecutivo di Letta non si è fatto molti scrupoli, utilizzando quel "tesoretto" giacente per "allungare" la tradizionale coperta corta.  Il bancomat Libia - L'ecobonus approvato dal governo nel consiglio dei ministri di venerdì 31 maggio, per esempio, ha richiesto un "prelievo" dal fondo per la Libia di 350 milioni. D'altronde, la copertura dell'operazione è un po' un patchwork: ecoincentivi, ristrutturazioni e bonus sull'arredamento saranno pagati dallo Stato tramite l'innalzamento dell'Iva dal 4 al 10% su gadget allegati ai giornali e sui prodotti in vendita nei distributori automatici, oltre all'utilizzo di una parte dell'8 per mille destinata allo Stato e al taglio di 41 milioni dai fondi di riserva del ministero dell'Ambiente. Ma la Libia è tornata utile già in un altro caso: il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni ha attinto da quel fondo per 100 milioni di euro, per rifinanziare la Cassa integrazione in deroga. Il Servizio del Bilancio del Senato ha sollevato il caso, sottolineando che attingere da investimenti strutturali destinati ad un altro paese non sarebbe proprio regolare, ma in certi casi evidentemente si fa di necessità virtù. Soprattutto quando la resa dei conti arriverà tra 20 anni.    

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