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Tasse, Renato Brunetta avverte l'Italia: prima si vota, poi sarà manovra da 5 miliardi

Giulio Bucchi
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Certo, la flat tax ci lascerà un sacco di soldi in tasca per rilanciare i consumi e rimettere in moto l' economia, l' eliminazione della giungla di detrazioni e deduzioni fiscali rivoluzionerà il nostro modo di pagare le tasse, i pensionati avranno un assegno più alto e i poveri potranno usufruire di un sostegno concreto grazie all' imposta negativa sul reddito. Ma nell' immediato l' ottimismo di Renato Brunetta si trasforma in qualcosa di più simile ad un temporale che spunta all' orizzonte. Per il responsabile economico di Forza Italia, che in questi giorni sta lavorando a testa bassa al programma, la sorpresina che chiunque vinca le elezioni si troverà subito sul tavolo di Palazzo Chigi sarà una bella manovra correttiva. Il che significa, a seconda dei calcoli e delle stime, una stangata per i contribuenti dai 3 ai 5 miliardi di euro. L' ipotesi non è evanescente e poco probabile, ma quasi ineluttabile. «Siamo i primi a pensare che la situazione dei conti pubblici italiani sia molto meno rosea di quanto si vuol far credere e non ci stupiremmo se, una volta al governo, dovessimo affrontare il tema di una manovra aggiuntiva, eredità avvelenata della schizofrenica e incompetente gestione Padoan». Leggi anche: "Chi mi sembrano Padoan e Gentiloni", un Sallusti da godere Magra consolazione - La responsabilità, ovviamente, è per Brunetta da addebitare interamente alla dissennata gestione della finanza pubblica da parte dei governi di centrosinistra. Ma per i contribuenti, che dovranno pagare il conto, è una magra consolazione. Scappatoie, vie di fuga? L' economista non le indica. Anzi, Brunetta ci assicura che da Forza Italia non dobbiamo aspettarci «nessuna iniziativa avventata». Il che suona, ma possiamo sbagliarci, che dal partito di Silvio Berlusconi, che del resto ha già detto che rispetterà il vincolo del 3% del deficit/Pil imposto da Bruxelles, non ci sarà alcun tentativo di far saltare il tavolo europeo, di rompere le catene dell' austerity che legano l' Italia al vincolo degli obiettivi previsti dal fiscal compact. Insomma, se alla fine l' Europa ci chiederà di pagare pegno, bisognerà sborsare. Eventualità che, dalla parte opposta, non esclude neanche Pier Carlo Padoan, che fino a ieri frequentava i palazzi di Bruxelles e qualche idea sul futuro che si aspetta nei prossimi mesi ce l' ha. Di fronte a chi gli chiedeva se ci sarà la necessità di una correzione in corsa dei conti pubblici, il ministro dell' Economia uscente ha risposto con il suo solito eloquio avvolgente. «Siamo a un punto di continua collaborazione. Quando ci saranno le previsioni di inverno della commissione europea fra qualche mese, fra un paio di mesi, la Commissione Ue darà la sua valutazione del nostro quadro macroeconomico, del nostro quadro di finanza pubblica», ha spiegato senza spiegare nulla. In ogni caso, ha cercato di rassicurare Padoan, «il quadro di finanza pubblica continua ad andare nella direzione giusta». Di fronte alla domanda secca, però, il ministro non si è potuto tirare indietro: «Per quanto riguarda quello che ci chiederà la Commissione, vedremo. Si tratterà di ragionare sui dati più solidi di previsione e sul riconoscimento che l' Italia continua a rispettare gli impegni». Botte di ferro - Insomma, siamo in una botte di ferro. La manovra correttiva si farà? «Vedremo». Certo, ieri Padoan ha annunciato anche che nella prossima legislatura ci saranno le risorse per rendere strutturale gli incentivi di industria 4.0 e il taglio dell' Irpef, dopo che ha passato gli ultimi anni a spiegare che la coperta era cortissima. Tutte le affermazioni, in campagna elettorale, vanno prese con beneficio d' inventario. Ma quel «vedremo» non dice comunque nulla di buono. Soprattutto sapendo che le ultime dichiarazioni ufficiali della Commissione europea dicono chiaramente che l' Italia, rispetto ad una correzione richiesta, dopo lo sconto, dello 0,3%, ha effettuato interventi di riduzione strutturale del deficit solo per lo 0,1% del Pil. Padoan ha cercato in quell' occasione di far presente agli euroburocrati che lo scostamento dello 0,2% (circa 3,5 miliardi di euro) era il frutto di un diverso metodo di calcolo e che, alla fine, i conti sarebbero tornati. Un giochino che allora sembrò convincere pochissimo il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, peraltro disposto a riconoscere al nostro Paese grandi progressi sulle riforme, e che adesso convince poco anche gli italiani. L' evidente tentativo da parte dei due partiti che, con ogni probabilità, giocheranno le carte sul tavolo dopo le elezioni di mettere le mani avanti rispetto ad una possibile stangata primaverile, di sicuro non aiuta. di Sandro Iacometti

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