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Banche, una pioggia di miliardi per salvare il governo: ecco cosa c'è dietro a quei 150 miliardi

Davide Locano
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All'insaputa di Grillo e Casaleggio, i veri alleati dei 5 Stelle al governo sono i loro ex nemici: banche, partecipate dello Stato e risparmiatori che stanno riempiendo di significato una manovra altrimenti insipida. Qualcuno a Luigi Di Maio dovrebbe pure spiegarglielo. Proprio quegli istituti di credito che loro vedevano come la causa di tutti i mali, quelle aziende ex pubbliche considerate costosi carrozzoni, quei piccoli risparmiatori che se fosse per i grillini non esisterebbero proprio perché saremmo tutti poveri. Da Bali, dove si sono riuniti i Ministri dell'economia e i banchieri centrali dei Paesi del G20, non solo Mario Draghi ha fatto marcia indietro riconoscendo che non è la prima volta che l'Italia non rispetta le regole europee, ma la più grande apertura al governo Conte-Salvini-Di Maio è arrivata dal presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, che ha messo sul piatto 150 miliardi di euro in tre anni, pari a cinquanta miliardi all'anno, di credito alle imprese che investono. Quegli stessi finanziamenti che gli uccelli del malaugurio ripetono da giorni che cesseranno di arrivare a famiglie e imprese perché lo spread troppo alto porterà alla chiusura dei rubinetti da parte delle banche. “Credit crunch” in linguaggio tecnico, che c'è stato nel 2011-2012 e che ha bloccato non solo investimenti e consumi ma, come ha scritto tante volte anche il ministro Tria nella sua precedente vita da professore, la trasmissione della politica monetaria all'economia reale. Leggi anche: Il terrore del governo: un nuovo "salva-banche"? La grande liquidità messa in circolo dalla Bce, tradotto, si fermava nei bilanci delle banche e non veniva erogata a chi ne facesse richiesta per vivere o produrre. Andò così in particolar modo per quelle due aste di finanziamenti (Ltro - Long Term Refinancing Operation) per un totale di mille miliardi che Draghi mise a disposizione di 800 banche europee a dicembre 2011 e a febbraio 2012 prima di arrivare alla mossa “estrema” del Quantitative easing nel 2015. Cinquanta miliardi all'anno da parte di una sola banca italiana significa molto più di una qualsiasi manovra mai vista nella storia e, questa sì, anticiclica, volta cioè a invertire l'andamento dell'economia. Se a ciò si aggiunge che dalla riunione della cabina di regia sugli investimenti a palazzo Chigi mercoledì scorso l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, è uscito dando la disponibilità per 22 miliardi di investimenti su quattro anni, che possono diventare anche di più se il governo si decide a semplificare la burocrazia; l'a.d. di Cassa Depositi e Prestiti, Fabrizio Palermo, ne ha valutati, soprattutto attraverso Terna, Snam e Italgas, altri 22 in cinque anni, che possono salire fino a 35 sempre se il governo semplifica le procedure; e l'a.d. di Fincantieri, Giuseppe Bono, ha dichiarato che l'azienda può arrivare fino a 21mila nuove assunzioni nei prossimi anni, beh, la manovra allora la stanno facendo loro. Specialmente se si mettono in confronto questi numeri con quelli scarsi dell'esecutivo: solo quindici miliardi di investimenti in tre anni, cinque all'anno. Tanta apertura nei confronti di un governo non si era mai vista. Con perfino Jp Morgan che butta acqua sul fuoco pubblicizzando la convenienza dei Btp italiani. Resta da capire se Salvini e Di Maio sapranno ben sfruttarla. Vale quasi quanto il Quantitative easing della Bce. Potrebbe addirittura sostituirlo quando dal prossimo anno, forse, non ci sarà più. di Paola Tommasi

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