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Luca Ricolfi, il suo libro spiega: gli italiani godono sempre di più, ma il peggio è dietro l'angolo

Davide Locano
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Ricordate la famosa battuta di Silvio Berlusconi sui ristoranti pieni in tempo di crisi? Il leader di Forza Italia, che cercava di spargere ottimismo in un momento di difficoltà, fu spernacchiato, insultato e coperto di critiche. Ebbene, non solo aveva ragione, ma si era addirittura limitato. L' Italia è uno dei Paesi del mondo con il più alto numero di giovani che non hanno un impiego né si preoccupano di cercarlo, ha decine di milioni di pensionati con assegni da fame, centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione, milioni di famiglie che non hanno i soldi per accedere ai servizi essenziali, 30 milioni di contribuenti che non pagano un euro di Irpef perché hanno redditi troppo bassi o inesistenti, una produttività che è ferma da anni e una crescita del prodotto interno lordo prossima allo zero. Eppure, basta andare un po' in giro per vedere abiti firmati, brindisi e aperitivi, telefoni di ultima generazione, vetture nuove di zecca, cinema stracolmi, locali pieni, luoghi di villeggiatura presi d' assalto. Esagerazioni? Leggi anche: Luca Ricolfi: le tre ragioni che spingono l'Italia verso il crac Non proprio. Numeri alla mano, siamo nei primi posti al mondo per possesso e utilizzo di automobili e cellulari, per iscrizioni a palestre e centri benessere, per la spesa in giochi d' azzardo. Ce la caviamo bene anche sul consumo di droghe, sui pranzi fuori casa e sul tempo passato a navigare in Internet. E non è finita: l' 80% degli italiani ha una casa di proprietà, il 65% fa vacanze lunghe e il 50% possiede una seconda abitazione al mare o in montagna. TRE CARATTERISTICHE Non è fantascienza, né una bufala. Si tratta di quella che Luca Ricolfi chiama «la società signorile di massa». Definizione che ha dato il titolo al suo ultimo libro (La Nave di Teseo, pagg.267, euro 18) e che fotografa un Paese che, a giudizio del sociologo, rappresenta un unicum a livello mondiale. Qualcuno, come la Grecia o la Spagna, ci va vicino. Ma nessuno, oltre a noi, unisce insieme le tre caratteristiche fondamentali: l' opulenza diffusa e accessibile più o meno a tutti, l' economia che non cresce e il godimento del benessere appannaggio più dei cittadini che non lavorano che di quelli che lavorano. Sui primi due punti, al di là degli annunci che di tanto in tanto vengono sparati da associazioni e organismi ufficiali, ci sono pochi dubbi. L' 87% dei residenti e il 94% dei cittadini italiani vive al di sopra della soglia di povertà, mentre l' economia viaggia ormai da tempo intorno a percentuali di crescita da prefisso telefonico. Più difficile da digerire è il terzo punto. Come è possibile che abbia di più chi fa di meno? I numeri sono chiari, tra i non poveri italiani il 52,2% non fa un tubo, il 39,9% si sbatte dalla mattina alla sera svolgendo uno o più lavori. GLI EFFETTI DEL BENGODI Per comprendere meglio il fenomeno bisogna fare un passo indietro e capire come si è arrivati fin qui. Il processo, spiega Ricolfi, non si è verificato dal giorno alla mattina, ma ha richiesto circa mezzo secolo. Il passaggio cruciale è a metà degli anni '60, subito dopo il miracolo economico. È lì che l' occupazione inizia a calare, che le comodità della vita quotidiana e le conquiste scientifiche e tecnologiche cominciano a diffondersi (fase che si perfezionerà nel corso degli anni '90) e che il reddito inizia a crescere meno della ricchezza. Tendenza, quest' ultima, che si intensifica negli anni '70 e '80, in coincidenza con l' esplosione del debito pubblico. Si arriva così alla società signorile di massa, dove il patrimonio degli italiani, arrivato intorno ai 10mila miliardi di euro, supera di circa 9 volte il reddito disponibile, dove si mangia ma non si lavora, si consuma ma non si produce. A pagare il conto è il surplus, la ricchezza guadagnata dai nostri padri, che viene intaccata per mantenere stili di vita superiori alle proprie entrate, ma anche quella accumulata in deficit dallo Stato che, soprattutto al Sud, foraggia un esercito di non lavoratori con indennità e sussidi. Gli effetti collaterali del Bengodi italiano non sono pochi. La scuola si impoverisce e si degrada, gli stimoli e le ambizioni professionali si affievoliscono, l' infrastruttura che Ricolfi definisce «paraschiavista» formata da manovalanza in prevalenza di origine straniera si ingrossa. Il difetto principale, però, è che senza produzione di nuova ricchezza il gioco è a somma zero. Se prendo da una parte tolgo dall' altra. E la torta prima o poi finisce, soprattutto se l' Italia non tiene il passo con le altre economie sul fronte della produttività. A quel punto la stagnazione si trasformerà in decrescita. E i risparmi del nonno non saranno più sufficienti a finanziare la bella vita di chi continua a girarsi i pollici. di Sandro Iacometti

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