"Avevamo detto no #webtax. Siamo stati di parola #lavoltabuona". Così, dopo il Consiglio dei ministri, Matteo Renzi su twitter venerdì scorso confermava di aver tolto la webtax, la norma introdotta lo scorso anno, sospesa da Letta, che imponeva a qualunque azienda intendesse operare in Italia di provvedere all'apertura di Partita Iva attraverso cui far transitare le proprie operazioni finanziarie. In realtà non è così. Cancellata dal governo Renzi nel decreto "salva Roma", la web tax è rispunta nella delega fiscale, a sua volta approvata definitivamente dalla Camera giovedì scorso. La norma non è comunque direttamente operativa, perché la delega fiscale è una legge che, appunto, delega l'esecutivo a varare entro un anno una serie di decreti legislativi che attuano i principi indicati. Durante l'esame del provvedimento in commissione Finanze della Camera, il 19 settembre 2013, era stato approvato un emendamento dell'articolo 9 con un preciso riferimento "a decisioni in sede Ue", dedicato al rafforzamento dei sistemi di controllo in chiave anti-evasione e anti-elusione, che introduceva la Web tax. L'emendamento è stato confermato successivamente dall'aula della Camera, nonché dal Senato e ancora da Montecitorio nel terzo e decisivo passaggio. La parola ora passa il governo che, in teoria, dovrebbe esercitare la delega emanando un decreto legislativo che contiene la "web tax". Il provvedimento assegna all'esecutivo 12 mesi per emanare i decreti legislativi, quindi il tempo per poter portare la questione in sede Ue.
