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Salvatore Rossi: "L'oro è un enigma: non rende niente, ma vale una fortuna"

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Salvatore Rossi

Mario Sechi e Costanza Cavalli
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Salvatore Rossi, Direttore generale della Banca d’Italia dal 2013 al 2019 e attuale presidente di Tim, è intervenuto a “Il disordine delle cose Chi siamo, chi non siamo e chi ci crediamo di essere”, il podcast ideato e condotto da Mario Sechi e Costanza Cavalli. Rossi ci ha spiegato perché l’oro, una sostanza bella che però non rende niente, sia diventata la merce di scambio per eccellenza e venga tesaurizzata dalle banche centrali del mondo.

Che sia da mangiare o portato a un dito, l’oro ci piace da pazzi perché ci sembra di tenere tra le mani qualcosa di divino caduto sulla terra: è bello, ed è giallo e tiepido. È incorruttibile, non invecchia nel tempo e non viene eroso dalla ruggine. È imperturbabile, non reagisce a quasi nessun altro elemento chimico.
E come se non bastasse, è raro: dall’antichità, alla corsa all’oro americana di metà Ottocento fino ai lingotti blindati nelle banche di Stato, si è sempre trattato di cercarlo, scovarlo con fatica e custodirlo. Della storia del metallo più amato del mondo, e del “sentimento ancestrale” che ci lega ad esso, ha scritto Salvatore Rossi, dal 2013 al 2019 Direttore Generale della Banca d’Italia, oggi Presidente di Telecom, nel suo volumetto “Oro” (Il Mulino, pp.131, 12 euro). Rossi, custodede delle circa 2.452 tonnellate di oro in lingotti e monete di cui la metà sono stipate nelle sacrestie di palazzo Koch a Roma e l’altra metà nei caveau di mezzo mondo, ha passato in rassegna i seimila anni in cui l’uomo ha usato il metallo giallo, l’ha adorato o se ne è fatto vanto».

 

 

Che cosa rappresenta l’oro nella storia? Lei scrive che il metallo giallo, con le criptovalute sulla corsia di sorpasso, è tanto anacronistico quanto attuale: non è affatto stato accantonato “da chi cerca un porto sicuro per i propri risparmi”. Perché?
«L’oro è un enigma: come mai una sostanza che non rende niente, per quanto bella e preziosa, viene tuttora tesaurizzata da privati e banche centrali? La spiegazione ha a che fare con la sua innata capacità di ispirare fiducia. L’oro, nel corso dei millenni e peri popoli di tutto il mondo, è sicurezza. E per questa sua caratteristica è diventato materia di scambio per eccellenza, universale».

Sulla base di questa fiducia millenaria, perché ritiene che non sia una buona idea vendere l’oro di Bankitalia, per esempio, per abbattere il debito pubblico?
«Quest’idea periodicamente emerge e apparentemente non è una cattiva idea: l’oro, ripeto, non rende niente e chi lo detiene nei suoi caveau non lo fa certamente perché pensa che sia una fonte di guadagno.
L’oro ha un prezzo di mercato, se una banca centrale ne vendesse quantitativi consistenti inonderebbe le Borse e il prezzo crollerebbe. Il gioco non vale la candela. Inoltre, l’oro per banche centrali e governi è la risorsa di ultima istanza: venderlo sarebbe un segno di disperazione. Che sia un errore l’abbiamo imparato da un precedente storico: una ventina di anni fa l’Inghilterra decise di vendere un po’ delle sue risorse aurifere. Il prezzo collassò. La mossa inglese fu considerata di una tale gravità che le banche centrali si accordarono per non ripeterla più».

 

 

Per i privati, tra tassi e conflitti, l’oro vale ancora una scommessa? Di solito, quando le cose si mettono male è sempre una corsa all’oro... Pensando al portafoglio c’è da approfittarne?
«È vero, nel mondo quando le cose di mettono male si verifica ancora una corsa all’oro. E si vende solo quando si è dato fondo a qualunque altro espediente, come l’orologio prezioso del nonno per una famiglia: vale non solo per i privati, ma anche per governi e banche centrali».

C’è la possibilità che ci sia una bolla e che scoppi? Il valore ha raggiunto i massimi degli ultimi sei mesi...
«Lo escluderei. Il prezzo può scendere, perché oscilla come quello di qualunque altro bene sul mercato. Parliamo di “bolla” quando non c’è un motivo razionale, come accadde nel 2007 con la crisi dei titoli subprime, i prezzi delle case erano aumentati oltre ogni ragionevolezza».

Ma chi dell’oro rivela la grandezza, e l’infinito potenziale, è Zio Paperone: il ricco per eccellenza, ben oltre il contadino Mazzarò (protagonista della novella di Giovanni Verga, talmente accumulatore e avido da morire al grido “Roba mia, vientene con me!”), Paperone nelle monete d’oro ci nuota: è tenuto a galla non dal possesso della roba, perché appena si possiede una cosa se ne vuole possedere un’altra, ma è sostenuto dalla possibilità di possedere. Lo stesso motivo per cui la riserva aurea nazionale ce le teniamo lì: mantiene la fiducia nel nostro sistema, dice Rossi, ai partner internazionali. 

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