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Saras, fine di un'era: i Moratti vendono agli olandesi

Sandro Iacometti
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Mentre tutti i riflettori sono puntati sugli Agnelli-Elkann, a mollare la presa sono, invece, i Moratti. L'indiscrezione che circolava da un po' di giorni ieri è diventata un fatto: l'ex presidente dell'Inter e i suoi nipoti, famiglia storica dell’imprenditoria milanese e italiana, una dinastia che ha scritto pezzi di storia dell’economia, della politica e dello sport del Paese, vende il suo gioiello, il pezzo più pregiato dell’impero, ad una multinazionale svizzero-olandese. E se nel caso degli Elkann la storia riguarda il futuro della manifattura nazionale e il ruolo dell’Italia nelle complicate sfide dell’automotive, qui in ballo c’è la sovranità energetica del Paese. La Saras, fondata nel 1962 da Angelo Moratti, gestisce infatti una raffineria, quella di Sarroch, in Sardegna, che una delle più grandi del Mediterraneo e ha una capacità di 300mila barili al giorno, pari al 20% di tutto il greggio trasformato nel nostro Paese. 

La partita, in altre parole, riguarda anche il governo, che dovrà valutare l’opportunità dell’operazione e, attraverso il golden power, stabilire vincoli e paletti sufficienti a garantire l’interesse nazionale di una infrastruttura evidentemente strategica. Si vociferava, nei giorni scorsi, che l’idea di uscire di scena piacesse più ai due figli di Gian Marco Moratti, Angelo e Gabriele, titolari del 10% ciascuno, che allo zio Massimo (che ha il 20% delle quote). Ma alla fine la decisione è stata presa. I membri della famiglia hanno stipulato un accordo relativo alla vendita di circa il 35% di Saras a Vitol (che è in procinto di prendersi anche il rigassificatore di Rovigo), colosso del trading di greggio con un giro di affari sparso per il globo di circa 500 miliardi.

 

«Con i miei nipoti Angelo e Gabriele ed i miei figli Angelomario e Giovanni, ho ritenuto che la miglior garanzia per il futuro successo della raffineria di Sarroch fosse l'aggregazione con un primario operatore industriale del settore energetico globale quale è Vitol», ha dichiarato Massimo, aggiungendo che l’operazione «sarà positiva per tutti gli azionisti, per le maestranze, peri clienti e tutti gli altri stakeholders». L'accordo prevede un prezzo pari a 1,75 euro per azione (un premio del 10% rispetto ai recenti valori di Borsa ma del 30 rispetto alla media degli ultimi 12 mesi), che implica una capitalizzazione di Saras di circa 1,7 miliardi. 

 

 

Valutazione che sarà riproposta anche nel lancio obbligatorio dell’Opa sul restante capitale finalizzata al delisting. Al completamento dell'operazione, che oltre a quello del governo dovrà ottenere anche il via libera dell'Antitrust Ue, il gruppo Vitol, fondato a Rotterdam ma con quartier generale a Ginevra, disporrà di oltre 800 mila barili al giorno di capacità di raffinazione in sette raffinerie, 4 gigawatt di produzione di energia termica e oltre 1,4 gigawatt di generazione di energia rinnovabile. Una potenza di fuoco la cui importanza traspare dalle parole dell’ad Russel Hardy: «Le attività di Saras sono ben complementari al core business di Vitol e questa operazione rafforzerà la sicurezza energetica europea e migliorerà l'approvvigionamento di un impianto chiave nel settore energetico europeo». Il manager assicura comunque di «apprezzare l’importanza di Saras in Sardegna e nel Paese» e si impegna a «portare avanti l'eredità della famiglia Moratti di gestione diligente, operazioni sicure e supporto alla comunità locale e ai dipendenti». Garanzie che non cambiano molto la sostanza dei fatti: la famiglia Moratti e l’Italia perdono una corazzata dell’industria nazionale e un’era si chiude. 

 

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