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Salari e migranti, i disfattisti delusi vanno in tilt e si attaccano a tutto

Maurizio Landini  

Sandro Iacometti
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Occhio ai dettagli. Ché altrimenti rischiate di lasciarvi infinocchiare da chi ieri ha tentato di mettere il cappello sulle parole di Fabio Panetta per trovare conforto su tesi che al governatore di Bankitalia non passano nemmeno per l’anticamera del cervello. Il più lesto ad avventarsi sulla Relazione annuale, manco a dirlo, è stato Maurizio Landini, che si è subito presentato nelle vesti di interprete ufficiale dell’economista. «Il governatore», spiega serio il segretario della Cgil, «nella sua relazione usa il termine “capitale umano”, io lo traduco in un modo più comprensibile: le lavoratrici e i lavoratori devono poter vivere dignitosamente. Quando questo non avviene e si è poveri lavorando, vuol dire che c'è un sistema che va cambiato. Per farlo c'è bisogno di aumentare i salari e combattere la precarietà». Ecco fatto. Ti distrai un attimo e il governatore di Bankitalia viene arruolato nelle file del sindacato rosso.

Ma non è l’unica casacca che si cerca di far indossare a Panetta. Malgrado la chiarezza espositiva della sua relazione, c’è tutto il mondo «dell’accogliamoli tutti» in festa per le parole sull’immigrazione. E anche qui ci sono i traduttori in azione: «Il governatore ha detto che l'Italia ha bisogno di immigrati per contrastare il calo di natalità. La destra è in forte imbarazzo, per questo i suoi esponenti declinano il riferimento di Panetta con “aumento della natalità”: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire», ha spiegato l’esponente di Avs Franco Mari. «Non siamo stati noi in questi anni a demonizzare il fenomeno migratorio; non siamo stati noi a introdurre elementi di protezionismo e a parlare di sostituzione etnica», gli ha fatto eco l’ex ministro del Pd, Andrea Orlando. Mentre per il piddino Antonio Misiani il governatore punzecchia l’esecutivo su tre nervi scoperti: «La gestione dell’immigrazione, la lotta all’evasione fiscale e le riforme per la concorrenza».

 

 

 

Non poteva mancare la candidata Cecilia Strada: «Sull’immigrazione Meloni e il suo governo, questa è la lezione che arriva da Via Nazionale, dovrebbero togliere i paraocchi» Facciamo un po’ di chiarezza. Intanto c’è il respiro generale. Il discorso di Panetta, piaccia o no, è quanto di più lontano dal declinismo e dal catastrofismo con cui opposizioni e sindacati condiscono da mesi le loro proteste contro il governo. È un invito all’ottimismo, «a guardare con fiducia al futuro», a riconoscere le potenzialità dell’Italia, che non è «affatto condannata alla stagnazione», come dimostra il fatto che «la ripresa registrata dopo la crisi pandemica è stata superiore a quella delle altre grandi economie dell'area. Contrariamente a quanto avvenuto in episodi di crisi del passato, è stata intensa anche nel Mezzogiorno».

Per carità, il governatore non evita di elencare «questioni ineludibili per la politica economica». A partire «dall’elevato debito pubblico», che è «un fardello da cui potremo liberarci soltanto coniugando prudenza fiscale e crescita». Un messaggio che non coglie certo impreparato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, spesso sotto il fuoco, anche “amico”, di chi lo accusa di eccessiva cautela sulla spesa. Che ieri ha voluto rispondere in tempo reale ringraziando il governatore, ma rivendicando al tempo stesso la «totale attenzione al tema», i buoni risultati del Pil nel primo trimestre (si viaggia più veloci della Ue) snocciolati dall’Istat e l’apprezzamento mostrato finora dalle agenzie di rating.

 

 

 

Così come sul tavolo ci sono anche l’arretratezza del Sud, il problema demografico e la storica difficoltà del Paese a correre, con la «minore crescita del prodotto per abitante nell’ultimo quarto di secolo». Ma la soluzione non è quella suggerita da Landini nella sua sbilenca traduzione. L'economia italiana, ha detto il governatore «potrà conseguire ritmi di sviluppo sostenuti» solo se saprà «imprimere una decisa accelerazione alla produttività». È la produttività il tema chiave, diffuso su tutti i capitoli toccati da Panetta, nelle quasi 25 pagine delle suo discorso. In Italia, ha detto, «è rimasta ferma; solo nel 2023 gli investimenti sono tornati a superare il livello precedente la crisi finanziaria, mentre le ore lavorate totali non lo hanno ancora recuperato». E l'evoluzione dei salari ha riflesso questo «ristagno della produttività». Detto questo, «la nostra manifattura è oggi la più automatizzata tra le principali economie dell'area euro». E dal 2019 «le imprese industriali hanno raddoppiato, al 17%, la quota degli investimenti in tecnologie digitali».

E per chi pensa che tutto si possa risolvere con valanghe di immigrati in arrivo sulle nostre coste, il governatore è stato chiaro. Si tratta, ha precisato, di «flussi regolari» che andranno gestiti «in coordinamento con gli altri Paesi europei, bilanciando le esigenze della produzione con gli equilibri sociali». Insomma, niente barconi. E comunque l’aiutino straniero non basterà. «Solo la produttività», ha ribadito, «potrà assicurare sviluppo, lavoro e redditi più elevati». Capitolo a parte, tutt’altro che trascurabile, il ruolo dell’Europa, che si deve dare una svegliata e deve spingere sugli eurobond e su politiche comuni «necessarie nel campo ambientale, della difesa, dell’immigrazione, della formazione». Ma il senso dell’intervento, con buona pace di disfattisti e menagrami, è tutto nelle ultime righe della sua relazione: «L'Italia ha concorso a fondare l'Unione europea: ora può e deve concorrere al suo progresso. È con la forza di questa prospettiva che dobbiamo guardare con fiducia al futuro».

 

 

 

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