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Calcio e Vaticano, non c'è più religione

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Giocatori di serie A arrestati, polizia nel ritiro della Nazionale, l'allenatore della Juve campione d'Italia Conte indagato: crolla la fede degli italiani nel pallone. E quella nella chiesa vacilla

Giulio Bucchi
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  Sulla politica da tempo non ci facciamo illusioni: dopo che anche Umberto Bossi è stato beccato con le mani nella marmellata, non saremmo disposti a mettere la mano sul fuoco per nessuno, neanche per quelli che dicono di battersi contro Roma ladrona. Delusi dai partiti e dai loro uomini, fino a ieri ci era però rimasta la fede:  nella Chiesa e nel pallone. Almeno in questi due ambiti speravamo di trovare quella purezza che manca a chi siede in Parlamento. Ma da una settimana anche la fede comincia a vacillare in quanto, dalle indagini giornalistiche e da quelle giudiziarie, invece di mondi in cui ci si muove nel solo interesse della religione e dello sport, vengono alla luce zone oscure in cui dominano l'intrigo e la corruzione.  A dire il vero, per quel che riguarda il pallone qualche dubbio già l'avevamo. Il calcio scommesse non è una cosa che si è scoperta ora. L'esistenza di  giocatori che si vendono la partita è cosa nota da almeno trent'anni, cioè da quando scoppiò il totonero in cui furono coinvolte squadre di serie A come Milan e Juventus (poi assolta) e calciatori del calibro di Paolo Rossi, Enrico Albertosi e Giuseppe Wilson, tanto per restare ai più noti. Di recente il capitolo era stato riaperto con l'inchiesta della procure di Cremona e Bari e nel mirino era finito perfino il capitano dell'Atatanta, Cristiano Doni, uno che a Bergamo veneravano, al punto di averlo insignito del titolo di cittadino benemerito, fatto mai accaduto con uno che tira calci a una palla.  Nonostante le avvisaglie, noi che non siamo esperti di cose sportive  ma ci limitiamo a fare i tifosi e a gioire per la nostra squadra, pensavamo che lo scandalo fosse limitato a pochi elementi. Gente viziata dalla notorietà e dai troppi soldi. Ragazzotti che dalla polvere di un campo di periferia si erano trovati fra le stelle dei vip e dunque, per mantenere il proprio tenore di vita, si erano venduti l'unica cosa di cui disponessero, ovvero la passione per lo sport. Pensavamo che al di là della faccenda degli arbitri, dei traffici degli zingari e delle scommesse a Singapore, il mondo del pallone fosse davvero di serie A e che nella maggioranza dei casi chi scende in campo con le scarpette lo fa perché ci crede e ha voglia di vincere, non di perdere per poi passare all'incasso. Dateci pure degli ingenui: ma ieri, con le accuse che lambiscono perfino la Nazionale, il mondo ci è crollato un po' addosso. Se anche dei ragazzi che allo sport devono tutto sono pronti a vendere lo sport, siamo proprio messi male. Significa che la corruzione è entrata nelle ossa e nella mente delle persone, è diventata un costume nazionale. Già, perché in Gran Bretagna non mi risulta che i calciatori mettano all'asta le partite, e neppure in Francia. Anche lì i calciatori sono star, anche lì guadagnano una montagna di soldi, ma non si buttano via per una scommessa. Se però del mondo del calcio, visti i precedenti,  un po'dubitavamo,  in quello della Chiesa un po' ci speravamo. Sapevamo che anche in Vaticano non sono tutti stinchi di santo, perché anche se indossano la tonaca si tratta pur sempre di uomini, con le passioni e le debolezze umane. Ma almeno intorno al Papa pensavamo ci fosse un po' di aria pulita. Invece i fatti di questi giorni ci hanno dato torto. A dar retta all'inchiesta, un maggiordomo, un uomo che aveva giurato fedeltà al pontefice, avrebbe fotocopiato le carte del Pontefice per passarle ai giornali. Un cameriere di fiducia che, in combutta con cardinali e alti prelati, avrebbe lavorato nell'ombra spifferando segreti e alimentando misteri. Perché lo ha fatto? L'inchiesta che ha portato all'arresto dell'uomo per ora non lo chiarisce, anzi quasi più che intenzionata a chiarire sembra voler mettere tutto a tacere.  L'arresto di chi ha passato le carte pare infatti una misura estrema, quasi come se si volesse chiudere la partita prendendo il pesce piccolo. Al di là delle responsabilità di maggiordomi ed eminenze,  un fatto però appare chiaro ed è che all'ombra di San Pietro si sta conducendo una vera e propria guerra. Non sappiamo cosa ci sia in gioco: se la defenestrazione di Bertone o, addirittura, le dimissioni di Benedetto XVI, come qualcuno ha ventilato. Certo è  che per ora è stato fatto fuori, con una durezza inusitata nelle felpate stanze vaticane, il presidente dello Ior, vale a dire il banchiere del Papa. E, dalle pagine di Sua Santità, il libro di Gianluigi Nuzzi, esce - per mano di uno dei suoi protagonisti -  lo scontro fra l'ex direttore dell'Avvenire e l'attuale direttore dell'Osservatore romano: una battaglia a quanto pare senza esclusione di colpi. Non sappiamo come finirà. Probabilmente male. Perché qui, a forza di corruzione e intrighi, non si salva nessuno. Neanche il Paese. di Maurizio Belpietro        

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