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Arrestateci tutti

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La Cassazione ha stabilito che Alessandro Sallusti deve andare in galera per un articolo pubblicato su Libero. Una vergogna che può succedere solo in Italia

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro La libertà di stampa in questo Paese è morta. La sentenza con cui la Corte di Cassazione ha condannato a 14 mesi di carcere Alessandro Sallusti, per un articolo uscito su Libero quando ne era il direttore, è infatti un ammonimento ad ogni giornalista. Dal caporedattore al praticante, d'ora in poi quando dovranno scrivere lo faranno con il freno a mano tirato, misurando le virgole per non incorrere nei rigori della legge. Riesumando uno slogan maoista si può dire: colpiscine uno per educarne cento.  Intendiamoci  non ce l'abbiamo con i magistrati, anche se quella del direttore del Giornale è una vicenda che ha come soli attori i magistrati, dal querelante ai giudicanti. La suprema Corte ha fatto il suo mestiere, applicando il codice: si può discutere se abbia usato più o meno la mano pesante e probabilmente lo ha fatto, ma è indubbio che qualcuno le ha dato il permesso di farlo. No, non ce l'abbiamo con le toghe, siano esse rosse o nere, ma con i politici che hanno consentito la condanna di Sallusti. Sono loro i veri responsabili di una sentenza che pone in libertà vigilata il direttore di uno dei più importanti organi di stampa d'Italia. Già, perché anche se la Procura di Milano ha annunciato che non darà immediata esecuzione alla sentenza di condanna, Alessandro rimane a rischio carcerazione. Se non piegherà la testa chiedendo di essere affidato ai servizi sociali, per aver consentito la pubblicazione di un'opinione, verrà messo dietro le sbarre un anno e più. Tutto ciò mentre gli spacciatori sono fuori e godono di ogni genere di beneficio, mentre i rapinatori o gli stupratori vengono premiati per buona condotta e i politici corrotti salvati per ottima militanza. Per questi signori in vent'anni le norme penali sono state rimaneggiate più volte, concedendo attenuanti e depenalizzazioni, quando non l'indulto: ma dei giornalisti il Parlamento non ha trovato il tempo di occuparsi. Troppo impegnati a fare altro, a difendere i propri privilegi e il proprio stipendio e in qualche caso a rubare,  onorevoli e senatori hanno lasciato in vigore la più illiberale delle leggi sulla stampa, aggravandola addirittura con il meccanismo del reato ripetuto più volte. Il risultato è quello cui abbiamo assistito ieri. Ora, si può pensare che la nostra - di Libero, del Giornale e di molte altre testate che in questi giorni hanno criticato la sentenza annunciata della Cassazione - sia una difesa corporativa e che gran parte dei giornalisti strilli e usi toni indignati perché una volta viene colpito uno di noi. Tuttavia non è così. Qui non è in gioco il futuro, la carriera e la libertà di un membro della casta redazionale. Qui è in gioco la libertà di informare e di dire ciò che si pensa riguardo a un fatto o a una persona. La nostra Costituzione all'articolo 21 sancisce che tutti i cittadini abbiano diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con le parole o con ogni altro mezzo e la stampa non possa essere soggetta a censura.  Ma più censura dell'arresto di un giornalista che ha espresso il proprio pensiero che altro ci può essere? La tortura? In nessun Paese d'Europa è consentito di ingabbiare un cronista per ciò che ha scritto. Se quanto egli ha pubblicato non corrisponde al vero è chiamato a risponderne patrimonialmente, risarcendo il danno, ma non finisce in gattabuia. Dietro le sbarre si va solo negli Stati dittatoriali, in Cina o a Cuba, dove esistono regimi comunisti. Da noi, negli anni passati, nonostante quel che scrivessero Repubblica o altri che ci paragonavano per libertà di stampa ai Paesi del Terzo mondo, la detenzione non era usata per rieducare i giornalisti. O meglio, ci fu un caso lontano che riguardò Giovannino Guareschi, finito in carcere per aver accusato Alcide De Gasperi, ma è una storia antica. Poi era capitato a un altro paio di colleghi di rischiare la detenzione, ma anche qui per vecchie sentenze addirittura mai appellate. In tempi recenti il pericolo d'arresto sembrava scongiurato e invece rieccolo affacciarsi, per di più inasprito. Quello che è accaduto a Sallusti potrebbe dunque accadere anche noi. A me che scrivo, dato che ho patito un'analoga condanna (omesso controllo per aver pubblicato un'opinione ritenuta dalla Corte Costituzionale insindacabile: 4 mesi di carcere), a tanti colleghi di Libero e a molti che lavorano in altri giornali. Siamo tutti a rischio, tutti in libertà vigilata. Ciò nonostante, dopo aver fatto un giro in redazione e aver raccolto i commenti di chi vi lavora, posso assicurare ai lettori che continueremo a fare il nostro lavoro con scrupolo e onestà, raccontando fino in fondo ciò di cui siamo testimoni.  I magistrati facciano pure il loro lavoro sostenendo di applicare solo la legge e nient'altro. I politici continuino a non fare una legge che depenalizzi la diffamazione a mezzo stampa, piangendo poi lacrime di coccodrillo a ogni caso Sallusti. Noi comunque andremo avanti per la nostra strada non mettendoci nessun bavaglio e non sottostando ad alcuna censura, né preventiva né consuntiva. Se sarà necessario ci faremo arrestare tutti.  

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