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A sinistra è partita la faida per il Colle

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Le indagini sui presunti magheggi sono sacrosante, ma la bomba contro D'Alema non può essere un caso. Vuoi vedere che Bersani...

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Fuori uno. A una settimana dalla conta per eleggere il presidente della Repubblica, dalla Procura di Monza arriva dritto un siluro che affonda la candidatura di Massimo D'Alema, l'ex comunista giunto al suo secondo tentativo di salire sul Colle. Sette anni fa a fregarlo furono alcuni compagni del suo partito, i quali piuttosto di vedere lui al Quirinale votarono Giorgio Napolitano, che avrebbe dovuto essere il candidato a perdere in favore di Baffino. Adesso che perfino il centrodestra aveva fatto un pensierino su Spezzaferro, a patto che spezzasse le reni ai pm, ecco che una velina plana sulle scrivanie della redazione del Corriere. Fuga di notizie è la formula usata. Un interrogatorio di due mesi fa che doveva rimanere segreto e inaspettatamente è finito nelle mani dei cronisti giudiziari del quotidiano di via Solferino. Complimenti per lo scoop, che ne ricorda un altro, quello che il medesimo giornale fece nel 1994, pubblicando in anteprima l'avviso di garanzia a Berlusconi mentre questi partecipava a Napoli a un vertice dei capi di Stato sulla sicurezza. Dopo la botta delle indagini a mezzo stampa, il Cavaliere di lì a poco si dimise e cominciò la guerra dei vent'anni, che ancora non si è conclusa.  La coincidenza vuole che la vicenda in cui è coinvolto l'ex segretario dei Ds - nonché ex premier, ex ministro degli Esteri ed ex tante cose - riguardi la  Serravalle, cioè l'autostrada Milano-Genova che la Provincia di Milano a guida sinistra comprò a caro prezzo, regalando al venditore - guarda caso socio in affari di Unipol - una plusvalenza di 180 milioni, con un danno erariale  che secondo la Corte dei conti è stimabile in 80 milioni.  Storia vecchia che risale a otto anni fa e storia controversa che è stata spesso denunciata da diversi organi di stampa, compreso il nostro. Ma guarda caso, quando il Giornale - diretto dal sottoscritto - pubblicò un'intercettazione che gettava ombre sulle spericolate operazioni finanziarie di Unipol e sulle coperture dei Ds, nel mirino non finirono né D'Alema né altri, bensì i cronisti che avevano provato ad alzare il velo. A distanza di anni per quella telefonata i giudici sono giunti alla convinzione che, come al solito, la colpa è di Silvio Berlusconi: la conversazione è vera, ma si è trovato il modo di condannarlo come responsabile della fuga di notizie. Nel frattempo, la chiarezza sulla strana operazione che regalò milioni di soldi pubblici a un imprenditore privato che spalleggiava le assicurazioni rosse non c'è. Le denunce presentate nel corso degli anni sono cadute nel vuoto e la questione è tornata d'attualità sul filo di lana della prescrizione quando la Procura di Monza - non quella naturale che sarebbe stata Milano - ha voluto veder chiaro su altre operazioni compiute nella Stalingrado italiana, quella Sesto San Giovanni in cui si è formato l'ex braccio destro di Pier Luigi Bersani. Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, l'ex comunista così generoso con un imprenditore privato, sarebbe stato al vertice del Sistema Sesto, una combriccola di compagni specializzata in tangenti. Ma sarebbe stato anche l'uomo che, tempo dopo l'acquisto di Serravalle, avrebbe detto di aver pagato un prezzo esorbitante, fuori dal mercato, per ordine del partito. Anzi: su indicazione di Massimo D'Alema.  La confidenza sarebbe stata fatta a un architetto finito in carcere con l'accusa di essere stato il collettore delle tangenti e la confessione del professionista davanti ai pm risalirebbe a un paio di mesi fa. Perché il progettista ricorda solo ora le parole di Penati? E perché Penati, che sulla questione è sempre stato una tomba, all'improvviso racconta delle pressioni di Spezzaferro per pagare di più le azioni della Serravalle? E come mai si confida con un tipo che fa parte della combriccola ma che della faccenda Serravalle non si è mai occupato? Non solo: Penati i rapporti con i vertici nazionali li aveva tramite Bersani e infatti ci sono alcune intercettazioni del leader Pd che si propone di far incontrare l'imprenditore fortunato e il suo futuro braccio destro: che c'entra dunque D'Alema? Insomma, la vicenda è oscura e merita d'essere chiarita. Soprattutto perché in ballo non ci sono solo il sovrapprezzo pagato dalla Provincia di Milano e le spericolate operazioni finanziarie di Unipol e di un partito che «voleva una banca».  In discussione c'è la partita del Quirinale, una corsa a ostacoli, in cui gli sgambetti e gli agguati sono la regola. Far fuori il concorrente è il gioco di società più diffuso nel Palazzo e non vorremmo che nei prossimi giorni fosse anche il divertimento più gradito nei Palazzi di giustizia. Il capo dello Stato non deve essere oggetto di mercanteggiamento fra partiti, ha detto Bersani. Patteggiare il presidente della Repubblica con i giudici invece si può? PS. Ma non è che, una volta bruciati tutti i candidati, la carta coperta che il segretario del Pd ha in serbo per il Colle, si chiami Pier Luigi Bersani? L'identikit potrebbe corrispondere: un nome nuovo fuori da quelli sin qui fatti; uno che potrebbe contribuire a stabilizzare la situazione e a far nascere il nuovo governo (togliendosi di mezzo come aspirante premier); un politico non pregiudizialmente contro il Cavaliere. Il dubbio inizia a serpeggiare.

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