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Ci processano per una vignetta su Napolitano

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Chiesto il rinvio a giudizio del direttore Belpietro per vilipendio del capo dello Stato. Ma sui reati d'opinione i politici tacciono

Andrea Tempestini
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Il pm Maurizio Romanelli, della Procura di Milano, ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di processarmi per vilipendio al capo dello Stato, reato punito dal codice penale con una pena variabile da uno a cinque anni. Motivo? Una vignetta di qualche tempo fa in cui, a commento degli sprechi nazionali, figuravano una serie di uomini politici che si mangiavano l'Italia e tra questi era riconoscibile Giorgio Napolitano. Da quel che ho capito il magistrato ha ravvisato nella prima pagina di Libero la violazione dell'articolo 278, che tutela l'onore e il prestigio del presidente della Repubblica. Al momento non conosco quali siano gli argomenti con cui il sostituto procuratore indenda sostenere l'accusa e per saperlo dovrò attendere che mi siano consegnati gli atti giudiziari. Tuttavia il problema non è ciò che scrive il pm nella sua richiesta al gip e neppure se io come direttore responsabile debba rispondere di una vignetta di cui non sono l'autore. Il problema è proprio l'esistenza dell'articolo 278, cioè del reato di vilipendio al capo dello Stato.  I magistrati fanno il loro mestiere, applicano il codice penale. Si può discutere se lo facciano con puntiglio oppure se in qualche caso chiudano un occhio o tutti e due. Sta di fatto che il divieto di prendere di mira l'inquilino del Quirinale esiste, non se l'è inventato Romanelli: è lì, nel librone che riassume tutti i reati. Spesso viene dimenticato, ad esempio nel passato, quando l'Espresso mise in copertina un presidente della Repubblica vestito da clown, ma c'è. Altri tempi si dirà, altro giornale, e inoltre anche se esiste l'obbligatorietà dell'azione penale sta all'autonomia della magistratura esercitarla. Quindi, se un pm di Roma archivia l'Espresso, quello di Milano chiede il rinvio per Libero. Perciò, a scanso di equivoci e di denunce penali per diffamazione del pubblico ministero, ribadisco: il problema non è la Procura che mi  vuole processare, il problema è la politica che mi lascia processare per un reato di opinione che appartiene a due secoli fa. Già, qui non siamo nel campo di qualcuno che si è sentito offeso e si rivolge all'autorità giudiziaria per ottenere giustizia, come è accaduto in passato per altri colleghi e anche al sottoscritto. Qui si tratta di un reato per cui si agisce d'ufficio, senza neppure attendere la querela di parte. Una norma borbonica o meglio sabauda. In Italia fu introdotta nel 1889, dal codice Zanardelli, e ribadita quasi cinquant'anni dopo dal codice Rocco. Ma allora c'era il re, mica il presidente della Repubblica. Il sovrano era sacro e chi attentava alla sua vita o alla integrità dello stato rischiava la pena di morte. Da un pezzo nel nostro Paese è stata cancellata la monarchia, ma l'antico privilegio del monarca resiste,  garantito appunto dall'articolo 287 del ccp. Tempo fa, prima di essere rieletto, Giorgio Napolitano criticò la norma che punisce col carcere chiunque leda l'onore e il prestigio del capo dello Stato, dunque chiunque lo critichi. Tuttavia la pena è sempre lì e incombe sui giornali e sui giornalisti, i quali con l'uomo del Colle devono usare i guanti bianchi, evitare di sfotterlo o di attaccarlo perché la Procura potrebbe ravvisare il vilipendio. Colpa del bipresidente? Nooo. Come spiegavo, la denuncia va in automatico, scatta a prescindere, per riflesso condizionato e procede grazie all'apposita autorizzazione del Guardasigilli. E allora la responsabilità di chi è? Premesso che le colpe sono sempre e comunque dei giornalisti, i quali sono in torto solo per il fatto di esistere e di continuare a voler fare il mestiere di informare, la responsabilità principale è dei politici che in tutti questi anni si sono ben guardati dal levare di mezzo il carcere per il reato di lesa maestà. Così come si guardano bene dal togliere dal codice penale il reato di diffamazione a mezzo stampa. Se uno via web ti dà del ladro, del servo, del mascalzone o altro, si tratta di opinioni e del legittimo diritto di critica, a maggior ragione se il sito o il blog è di tendenza progressista. Se un giornalista invece si azzarda a sbagliare una virgola, a dire che un magistrato non è capace di guidare un ufficio oppure che pende a sinistra, quello è un reato che merita di essere punito con la galera.  Insomma, cari lettori, non so se avete capito, ma fare il cronista è un mestiere ad alto rischio, perché la politica ci preferisce al guinzaglio e i pochi che se lo tolgono corrono il pericolo di finire dietro le sbarre. Tuttavia, siccome sappiamo che il nostro è un problema di poco conto rispetto ai vostri e a quelli del paese, nonostante le querele e i processi che ci vengono intentati, i colleghi di Libero ed io continueremo a fare il nostro dovere, cioè a informarvi senza bavaglio e senza riverenza nei confronti di nessuno. Quirinale compreso. Buona giornata. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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