Cerca
Logo
Cerca
+

Il disastroso Letta ricorda Prodi

Esplora:
default_image

Siamo alle solite: Saccomanni non recupera le risorse mentre il superesperto Usa ci rivela che abbiamo troppe auto blu. Per salvare la faccia, il premier annuncia le dismissioni. Se le farà come quelle di Prodi stiamo freschi

Ignazio Stagno
  • a
  • a
  • a

Noi italiani siamo proprio un popolo di provinciali. Per scoprire che abbiamo tante auto blu siamo andati  fino a Washington, spendendo pure 260 mila euro. Non bastavano le decine di articoli pubblicati in questi anni e neppure la collezione di libri sulla Casta dati alle stampe nell'ultimo decennio. Ci voleva un supercommissario con un pedigree da esperto del Fondo monetario internazionale.  Così Carlo Cottarelli ieri ha potuto annunciare ai giornali che in Italia le auto blu sono troppe e promettere di  dedicarsi personalmente alla loro riduzione. I quotidiani, che si bevono tutto e in particolar modo le chiacchiere, hanno dunque titolato in prima pagina che mister Mani di forbice si occuperà presto di tagliare le gomme ai politici e agli alti papaveri dello Stato. Un proposito che nel passato era già stato annunciato una mezza dozzina di volte da commissari , sottosegretari e perfino da primi ministri in loden. Ciò nonostante, tutto è rimasto come prima e il numero di auto di servizio che scorrazzano per la Penisola non è diminuito, ma anzi, semmai è aumentato.  Per questo motivo, da un tipo che viene dagli Usa ci saremmo attesi qualcosa di più di una dichiarazione d'intenti, anche perché appena insediato l'economista a stelle e strisce ci aveva lasciato capire che il 13 novembre avrebbe illustrato al governo i dettagli del piano che avrebbe consentito di  mettere a dieta la pubblica amministrazione. Invece, dopo un mese siamo solo alle comiche iniziali, cioè all'insediamento di 25 commissioni, una per capitolo di spesa, e nulla più. Ma a radiografare ogni singola uscita del bilancio dello Stato non aveva già provveduto Tommaso Padoa Schioppa  qualche anno fa? E dopo di lui non se n'era occupato Piero Giarda,  il sottosegretario del governo Monti, al quale poi un anno fa   era subentrato  il supermanager Enrico Bondi? Che bisogno c'è dunque di insediare altri cervelloni? Nessuno sa rispondere, tuttavia si ha  la sensazione che si tratti dei soliti giochi di prestigio che difficilmente produrranno i benefici  attesi (dieci miliardi in tre anni, 1,5 già l'anno prossimo e 3,7 nel 2015). Del resto questo  è il governo di Mago Saccomanni, il ministro che con un colpo di bacchetta magica fa riapparire le tasse che erano state fatte sparire. Ieri a Palazzo Chigi avrebbero dovuto varare la definitiva cancellazione dell'Imu, la cui abolizione era stata più volte annunciata ma mai approvata. Però c'era il problema di trovare la copertura finanziaria che consentisse l'abolizione della rata di dicembre e fino a ieri, nonostante le promesse, i soldi non erano stati rintracciati. Per cui il provvedimento messo all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, come per magia, è stato fatto sparire, rinviato a data da destinarsi, con tanto di presa in giro di contribuenti e commercialisti che chiedevano di avere certezza di quando e quanto avrebbero dovuto pagare. In compenso, per nascondere l'incapacità di arrivare a una decisione sull'Imu, il presidente del Consiglio ha annunciato un piano di dismissioni del patrimonio dello Stato per un importo fra i 10 e i 12 miliardi. Del pacchetto di vendite farebbero parte le partecipazioni detenute dallo Stato nell'Eni e in Fincantieri, cioè due delle ultime grandi aziende rimaste nelle mani del ministero dell'Economia, la cui cessione dovrebbe consentire la riduzione del debito pubblico. Più volte sollecitate, le privatizzazioni non sono un'idea da bocciare e noi di Libero l'abbiamo caldeggiata più volte, tuttavia si tratta di capire a che prezzo si venderà e soprattutto a chi. Nel passato la messa sul mercato di banche e imprese pubbliche voluta da Romano Prodi, infatti, si rivelò un autentico flop, non soltanto perché il prezzo ricavato fu più basso di quello che sarebbe stato lecito attendersi, ma perché il sistema messo a punto per impedire che Telecom e il resto delle partecipate statali finissero nelle mani dei soliti noti fu aggirato in un attimo, con il risultato che ai quattro potentati economici di questo Paese bastarono quattro soldi  per comprare all'asta i gioielli dello Stato.  Certo, all'epoca Enrico Letta non c'era e dunque non gli si può attribuire la colpa delle svendite, ma essendo stato più avanti sottosegretario del professor Mortadella non vorremmo che avesse imparato la lezione dell'ex presidente del Consiglio e si apprestasse a ripeterla. In tal caso, invece che tagli alla spesa pubblica, riduzione delle tasse e abbattimento del debito pubblico, ci toccherebbe solo un futuro più povero, senza nemmeno più l'argenteria di famiglia. Occhio dunque, perché al posto della spending review potremmo trovarci spending e basta. Cioè la solita presa per l'Imu. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

Dai blog