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La Merkel ha le sue Pussy Riot e le tratta proprio come Putin

Tre attivisti irrompono nella cattedrale di Colonia, rischiano anche loro tre anni di galera e pure di più. E Angela criticava la Russia "anti-europea"...

Giulio Bucchi
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  di Maurizio Stefanini Anche in Germania protestare in una cattedrale espone a una condanna a tre anni di carcere. «La sentenza troppo severa ed eccessiva non è in linea con i valori della legge europea e della democrazia sottoscritti dalla Russia in qualità di membro del Consiglio d'Europa», aveva dichiarato Angela Merkel quando si era saputo della condanna alle Pussy Riot a tre anni per la “preghiera punk” alla Madonna nella Chiesa del Cristo Salvatore, a «liberare la Russia da Putin». Ma è la stessa pena che il codice della Repubblica Federale di Germania riserva ai tre attivisti che lo scorso fine settimana hanno fatto irruzione in una cattedrale di Colonia per manifestare proprio in favore del gruppo russo. Insomma, un altro bel saggio di ipocrisia da parte della Kanzlerin, che peraltro deve esserci ormai abituata! I tre, due uomini di 23 e 25 anni e una donna di 20, si erano vestiti esattamente come le Pussy Riot nella famosa performance, e si erano messi non solo a distribuire volantini con la scritta “Libertà alle Pussy Riot e a tutti i prigionieri”, ma anche a gridare slogan dello stesso tenore. La Chiesa cattolica li ha denunciati e ora i tre rischiano la condanna. «La pace della Cattedrale di Colonia è stata interrotta. Non possiamo accettarlo e non lo accetteremo», ha detto il decano della cattedrale Robert Kleine al quotidiano Frankfurter Rundschau. «Il diritto di manifestazione non può stare al di sopra della libertà religiosa e dei sentimenti religiosi della congregazione». Va detto che mentre per le Pussy Riot sono state una condanna anche mite visto che avrebbero potuto arrivare a un massimo di sette anni, per i tre tedeschi si tratta della punizione massima. In effetti potrebbero cavarsela anche con una multa, e nel 2006 un berlinese che interruppe un servizio religioso gridando e lanciando volantini ebbe nove mesi.  Ci sono pure alcune differenze di contesto, che però dal punto di vista dei tedeschi potrebbero essere considerate aggravanti. Innanzitutto, mentre le Pussy Riot contestavano l'allineamento del Patriarcato di Mosca al governo di Putin, non si capisce cosa c'entri la Chiesa cattolica tedesca con le scelte della chiesa ortodossa russa. Sarebbe come dire che la Juventus ha rubato l'ultima Supercoppa a Pechino, e per protesta andare a sfasciare la sede dell'Inter o del Milan.  E poi, la Germania è un Paese dove esiste una larga libertà di manifestazione, e i tre non avrebbero avuto problemi a ottenere il permesso per manifestare il proprio appoggio alla Pussy Riot in qualunque altro luogo più consono. A differenza della Russia, dove ci sono effettivamente alcune storiche limitazioni alla libertà di manifestazione: ora riconosciute implicitamente anche dal Comune di Mosca, nel momento in cui ha appena annunciato l'istituzione di due “manifestodromi” in cui si potranno organizzare proteste e comizi senza bisogno neanche di chiedere l'autorizzazione. Comunque un passo avanti, anche se gran parte dell'opposizione ha già espresso il proprio rifiuto per quella “ghettizzazione”.   Ma anche se ci si trovasse nei confronti del più totalitario dei regimi, sarebbe moralmente lecito usare per una protesta un luogo di culto senza il consenso dei religiosi che vi sono preposti? Il problema si è posto poco prima dell'ultima visita di Benedetto XVI a Cuba, quando un gruppo di 13 militanti del clandestino Partito repubblicano di Cuba aveva occupato una chiesa dell'Avana per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, la fine della repressione, l'aumento dei salari e delle pensioni, e che Benedetto XVI si incontrasse con esponenti del dissenso. Lo stesso cardinale Ortega, che pure in passato è stato detenuto nei famigerati campi di lavoro castristi della Umap, chiese alle autorità di intervenire, e la polizia sgomberò la chiesa in 10 minuti. Ne seguirono dure polemiche, ma due importanti esponenti del dissenso come Marta Beatríz Roque Cabello e Yoani Sánchez riconobbero che i “repubblicani” avevano sbagliato, e che trasformare un luogo di culto in una trincea di scontro politico era un'offesa alla sensibilità dei credenti.     

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