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Sony ci ripensa: il film su Kim Jong Un va on line, tutti i dubbi sull'attacco hacker

Eliana Giusto
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Non era mai successo che un Presidente americano puntasse il dito contro una company a stelle e strisce. E la criticasse pubblicamente (nel corso della conferenza stampa di fine anno) per aver ceduto alle minacce di hacker aggressivi legati a uno Stato un tempo definito canaglia: la Corea del Nord. Sony nei giorni scorsi, sotto scacco per un attacco cyber, ha ceduto al ricatto e accettato di non mandare in onda nelle sale Usa il film The Interview, pellicola satirica con protagonista Kim Jong Un. Ieri dopo il dito puntato di Obama, la major ha fatto sapere che il film non è censurato. Sarà comunque distribuito via web. «Sony Pictures non ha avuto altra scelta che annullare la premiere del film», si legge in una nota che spiega come la cancellazione sia dovuta al fatto che le principali catene di cinema abbiano rinunciato a proiettare la pellicola per timore di attacchi concreti. «È stata una loro decisione. La sola decisione che abbiamo preso rispetto alla distribuzione del film - si legge nella nota - è stato non diffonderlo il giorno di Natale nelle sale, dopo che i proprietari dei cinema hanno rinunciato a mostrarlo». A rendere più complicata la faccenda c'è però la risposta di Pyongyang. La Corea del Nord, apertamente accusata da Obama di aver gestito l'attacco hacker contro la multinazionale per difendere l'immagine di Kim Jong Un, ha sostenuto ieri di non avere alcuna responsabilità e ha chiesto a sua volta un'inchiesta congiunta con gli Usa. Ovviamente non è possibile per antonomasia vederci chiaro in una situazione di spionaggio. Innanzitutto non ci sono prove concrete. Il dito è puntato contro i coreani perché la metodologia di «data bridge», ovvero furto di dati è simile a quella utilizzata da hacker come gli appartenenti alla fantomatica «Unit 121» che già in passato avrebbe operato per conto di Kim Jong Un. Negli ultimi due anni secondo fonti di intelligence Usa la “flottiglia” di hacker operanti per conto di Pyongyang sarebbe passata da 3mila unità a poco più di 5900 persone. Segno di grande impegno economico e conseguente preparazione tecnica. Anche se nessuno al momento è in grado di escludere che dietro possa esserci la Cina. «In realtà la Corea del Nord sarebbe in grado di operare attacchi di data leakage», spiega a Libero Carlo del Bo, esperto di cyber security ed executive di Bizempowerment, «e al momento nulla conduce ad altre nazioni. Ciò che è necessario sottolineare è un altro aspetto. La Sony ha ceduto a un ricatto e rischia di aprire una falla nell'intero comparto delle aziende Usa che, visto il precedente, possono entrare nel mirino di altri hacker. Si aprirebbe un filone paragonabile alla serie di rapimenti che ha travolto l'Italia negli anni '70». Non a caso il Congresso Usa ha parificato qualunque attacco hacker a società americane operanti in settori sensibili (quello di Hollywood è compreso) agli attacchi terroristici. In sostanza vanno equiparati all'11 settembre. Basta immaginare un furto di dati a una società elettrica o un attacco hacker alla torre di controllo di un grande aeroporto quali effetti potrebbe causare. In fondo, quello alla Sony non è altro che un carotaggio terroristico per sondare i sistemi di difesa americani. Da qui l'irritazione di Obama verso la Sony che avrebbe scavalcato le norme dell'homeland security, la sicurezza nazionale. Probabilmente si discuterà a lungo se sia stato un vero e proprio attacco o una “semplice” violazione di dati finalizzata al ricatto. Politicamente la questione però non cambia. Una tale mancanza di comunicazione è di difficile comprensione, considerando che dal 2005 la Sony è finita sotto attacco almeno dieci volte; i casi più gravi in Canada e in Thailandia. I più maliziosi ipotizzano che in mezzo alla bufera Sony abbia approfittato dell'handicap per fare un po' di marketing. A maggior ragione visto che la pellicola sarà di sicuro visibile e non censurata. Se in questo momento sia in atto la ritorsione americana ovviamente non è dato sapere. E potrebbe essere un argomento sensibile delle diplomazie future. di Claudio Antonelli

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