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Guerra in Medio Oriente, ecco come guadagnare in Borsa

Le mosse migliori: franchi svizzeri, Bonos spagnoli, un po' di oro, azioni Eni, titoli alimentari e farmaceutici

Giulio Bucchi
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A Wall Street c'è un po' di tutto. Anche «l'indice della paura», come viene definito in gergo il Vix, ovvero il termometro  che misura la volatilità (l'opposto della stabilità) delle azioni. Sotto l'incalzare della crisi siriana, il Vix è salito del 17%. Molto, ma assai meno che in occasione di altre emergenze, compreso il rischio, assai temuto ancora pochi mesi fa, del collasso dell'euro. Insomma, a giudicare dalle reazioni dei grandi operatori, è bene non sottovalutare i rischi legati a un'azione militare sulla Siria, ma guai a farsi prendere dal panico correndo il pericolo di vendere nel momento peggiore azioni o altri beni a un prezzo stracciato.  Senza dimenticare che ciascuno di noi ha un diverso grado di sopportazione del rischio. Fatta la doverosa premessa, proviamo a immaginare un portafoglio a prova di stress. L'emergenza  siriana ha regalato un po' di quattrini alla Germania (che non ne ha bisogno...). Negli ultimi tre giorni il rendimento dei Bund decennali tedeschi è sceso dall'1,92% a poco più di 1,80%, a conferma che i titoli di Stato su cui governa la Bundesbank sono oggi considerati il porto più sicuro. Ma vale la pena accontentarsi di rendimenti così modesti, senz'altro inferiori all'inflazione, pur di rifugiarsi dal rischio? Probabilmente no. Anche i più prudenti possono puntare, come stanno facendo i fondi pensione del Nord Europa e giapponesi, più su Btp e Bonos spagnoli (questi ultimi hanno corso molto di più) che non su titoli troppo avari. Semmai, prudenza impone di evitare le scadenze più lunghe, oltre i tre anni, per non essere coinvolti nelle turbolenze prossime venture. Meglio ancora, è saggio prestare attenzione alle emissioni di titoli agganciati al tasso d'inflazione: in caso di incendio in Medio Oriente e, di riflesso, di rialzo dei prezzi dell'energia, la lancetta dei prezzi potrebbe impennarsi. In questo caso i Btpei (agganciati al carovita) saranno lo scudo migliore.  L'oro è, da sempre, il bene rifugio per eccellenza. Ma negli ultimi tempi ha più volte tradito questa vocazione. Negli ultimi mesi  le oscillazioni di prezzo  hanno provocato più di un cardiopalma agli affezionati del metallo giallo. Nel corso dell'ultimo mese l'oro ha messo a segno un progresso superiore al 6%, superato solo dal cugino più “ballerino”, l'argento, che ha messo a segno un guadagno del +21%.  Da inizio anno, però, la performance è comunque negativa per entrambi. Alla vigilia della crisi, la perdita era rispettivamente del 16,5% e del 21%. E adesso? A favorire la ripresa dei prezzi ci sono stati robusti acquisti in arrivo dall'Asia (Cina in testa). Uno scenario bellico estremo, che possa comportare  il black out delle esportazioni di greggio dallo scacchiere del Medio Oriente, potrebbe provocare un forte incremento dell'oro monetato. I titoli minerari più importanti, come Barrick, hanno reagito con un moderato rialzo. In sintesi: un po' d'oro serve a dar smalto al portafoglio. Ma in modica quantità. Il portafoglio di guerra, naturalmente, deve profumare di petrolio. A partire dalle azioni Eni che, a detta degli analisti, sono oggi più a buon prezzo di altri gruppi petroliferi: un po' per l'esistenza del rischio Italia, che comprime le quotazioni di Piazza Affari, un po' per le recenti traversie della controllata Saipem che hanno avuto riflessi anche sul titolo del cane a sei zampe.  Ma un buon portafoglio difensivo si deve basare soprattutto sui titoli anticiclici: alimentari e farmaceutici in primis. Al contrario, i titoli industriali (auto in testa) sono i primi a pagare nelle fasi di incertezza. Meglio stare alla larga dai valori del largo consumo (tipo Autogrill) o da lusso, che rischia di passare di moda nelle fasi dominate dall'emergenza bellica. Queste le indicazioni per chi pensa che la sindrome di Damasco possa ribaltare la congiuntura da capo a fondo. Altrimenti, se si pensa a una crisi passeggera o, comunque, di portata limitata, è il caso di approfittare di eventuali tracolli nei prezzi.  A Wall Street, dove il cinismo abbonda, c'è chi pensa che non tutto il male (vedi l'emergenza Siria) venga per nuocere. I venti di guerra, infatti, costringeranno la banca centrale a rinviare il cambio di rotta della politica monetaria che, al solo annuncio, ha provocato il tracollo delle valute emergenti, a partire dalla rupìa indiana, la lira turca o il real brasiliano. Sembrano Paesi lontani, spesso non lo sono. Almeno per quei risparmiatori, mica pochi, che hanno investito in fondi dei Paesi emergenti o azionari globali in cui negli ultimi anni sono stati infilati non pochi titoli azionari od obbligazionari dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Il consiglio, guerra o non guerra, è uno solo: ritirarsi al più presto. Di questi tempi meglio puntare sul solito franco svizzero. O, meglio ancora, sulla corona norvegese, che può contare su uno Stato solido, ricco e ben amministrato. Oltre, naturalmente, a un mare di petrolio. di Ugo Bertone

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