Philip Roth, lo scrittore che cambiò l'America ma non vinse mai il premio Nobel
«Il meglio che posso dire è che ho scritto perché volevo vedere se ne ero capace.». A 85 anni- gli ultimi dei quali passati dal suo attico dell' Upper West di New York ad osservare lo scorrere d' un tumultuoso passato- Philip Roth, gigante letterario d' ogni tempo, si è spento nel lampo d' una battuta. Morto per un colpo al cuore. Dopo aver trascorso la vita a convincerci, cinicamente, di non averne mai avuto uno. Roth, ebreo di Newark d' origine polacca, classe '33, fino a ieri era il più grande scrittore americano vivente nonché premio Pulitzer con la propensione ad essere letteratura in forma umana. È stato candidato almeno una mezza dozzina di volte al Premio Nobel, ma non lo ha mai vinto. Ma non è una doglianza, semmai, una nota di merito. Oltre al Pulitzer però gli brillava addosso la National Humanities Medal, la più importante onorificenza americana assegnatagli nel 2010 dal presidente Barack Obama. ECCO ZUCKERMAN - Di Roth rimane oggi il racconto della nazione americana con le sue affilate contraddizioni; nazione che come nel suo La macchia umana lo scrittore descriveva nelle tracce, nei segni, nelle ferite -le macchie appunto- che lo scorrere del tempo lasciava e imprimeva sui propri alias romanzeschi. Prendete Seymour Levov, il protagonista di Pastorale americana, che lo consacrò nel 1997: un cittadino medio fiero del sogno yankee che verrà distrutto dalla sua amatissima figlia la quale rinnegherà il padre per abbracciare la causa del terrorismo. Prendete Nathan Zuckerman, voce narrante in molti racconti di Roth; Nathan ne Lo scrittore fantasma e in Zuckerman scatenato, al contrario del quadro di Dorian Gray, invecchierà logorandosi nei paradossi del creatore, anch' egli mal tollerante al trascorrere del tempo («La fine è così immensa, è la sua stessa poesia. Non ha bisogno di grande retorica, ma di parole semplici»). E prendete Alex Pornoy eroe piccino del Lamento di Pornoy: si consuma nel raccontare all' analista i tentativi di sfuggire all' asfissiante famiglia ebraica e alle proprie fisime sessuali, descritte -specie le pratiche onanistiche con una mela- con un' allegra dovizia di particolari che scandalizzò l' intera comunità ebraica (nella traduzione italiana Seghe e Figomania sono alcuni titoli del secondo e del quarto capitolo del libro). Applausi e scandalo contemporaneamente, a dire il vero. Nelle trame di Philip c' è sempre il sesso, talora innervato da sentimenti più quieti che, come il suo mal di schiena, non lo abbandoneranno mai: «Non c' è frangente da cui l' infatuazione sia incapace di trarre alimento. Mi bastava guardarla per trasalire: lasciavo che mi entrasse negli occhi come un mangiatore di spade inghiotte una lama», scrive Roth, in un' immagine bellissima sul sesso riferita al Lamento. E poi si scopre che la madre e il padre del giovane Phil, premurosissimi, mai avevano creduto al successo di Alex Portnoy annunciato loro dal figlio in un ristorante di Manhattan. La vita di Roth - come per molti talenti ebrei di potente gittata come Neil Simon e Woody Allen- si sovrappone spesso alla carriera. E, da lì, emergono elementi che lo rendono inevitabilmente uno stronzo di talento. Una fidanzata che si fa mantenere fino alla morte con figlio che Roth crede suo; il sesso come antidoto alla solitudine; i litigi da primedonne con John Updike che lo sputtana dappertutto; la scarsa propensione allo stakanovismo («scrivo due ore al giorno»); l' ascolto di Strauss e la lettura liturgica di Hemingway; la passione per la boxe di Jake La Motta. Tutto ciò per Roth diventa materia incandescente da romanzo. LA CARRIERA - Roth iniziò la carriera ispirato da dall' amico critico Dick Stern il quale lo convinse a raccontare una sua carnale storia d' amore ambientata nella miniera narrativa della comunità ebraica di Newark. Ne uscì Goodbye, Columbus (1959). Dopo arrivarono, il Lamento (1969), La mia vita di uomo (1974), Zuckerman scatenato (1981), La lezione di anatomia (1983), L' orgia di Praga (1985) e La controvita (1986). Ma i lavori migliori restano L' animale morente («L' amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due»), Complotto contro l' America e Il grande romanzo americano, oltre al racconto Il seno omaggio a Kafka che trasforma un uomo in una tetta gigante. Ci mancherà la sua idea elegantemente terragna della letteratura: «Io scavo una buca, e poi la illumino con una torcia...». di Francesco Specchia