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Emmanuel Macron, i problemi mentali: il terribile sospetto di Filippo Facci

Davide Locano
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Luigi Di Maio ha ragione. Nel dirlo rischiamo un' infiammazione alle corde vocali, ma ha ragione - incredibile - nel dire che da cittadino e da uomo politico ha tutto il diritto di incontrare chi vuole: e questo, nostro, non è un ragionamento libertario da scrivania. È ciò che è sempre successo. Prendete due simboli, Craxi e Andreotti; il primo fiancheggiava la resistenza cilena contro Pinochet (amico di Reagan) e quella del polacco Walesa contro Jaruzelski, e in generale si spingeva a finanziare fazioni osteggiate dagli Alleati come fece con Arafat e con il celebre blitz di Sigonella che mandò in bestia statunitensi e israeliani. In questo caso, però, stiamo mischiando i rapporti personali di un politico con quelli istituzionali di uno statista: ed è forse proprio l' errore che sta facendo Emmanuel Macron col governo italiano. Ma ci arriviamo. Andreotti fu filo arabo, guardato in cagnesco da Israele e mostrava palesemente la sua preferenza per il mondo palestinese, oltre a non piacergli i tedeschi: «Li amo talmente che di Germanie ne vorrei sempre almeno due». Ma anche qui stiamo parlando più di politiche governative e meno di rapporti personali, a margine dei quali è sempre accaduto che le singole persone si muovessero parallelamente alle vesti istituzionali in piena contraddizione coi rapporti diplomatici, con alleanze politiche e militari e con le posizioni ufficiali di un governo. Leggi anche: Sondaggio: crolla Macron, vola Putin Ecco perché distinguere, in questa querelle italo-francese, è obbligatorio: perché è proprio l'aver messo ogni cosa su un medesimo piano a rendere pretestuoso il comportamento di Macron, che all'apparenza si è semplicemente spazientito e ha messo in conto il serio e il faceto. «LEBBRA D'EUROPA» Frizioni vere, sappiamo, negli ultimi otto mesi non erano mancate: gli sconfinamenti francesi a Ventimiglia e le navi bloccate nel Mediterraneo erano e restano roba seria, ufficiale, con comunicati di Macron in cui definiva «cinica e vomitevole» la nostra politica e poi ci definì «lebbra d' Europa» in un' intervista a Le Figaro. Nessuno richiamò l'ambasciatore italiano a Parigi (passo che precede la rottura delle relazioni diplomatiche) come non accadde ovviamente neanche dopo le divergenze sul deficit (la Francia si oppose agli sforamenti italiani) e come non sta accadendo per l' assurda sospensione dei lavori del Tav, che in realtà è tutta in divenire. Sono queste le cose istituzionali: atti e passi collegiali, mentre su altre cose, magari, ci sono divergenze abissali ma nessuno si è mai mosso se non off the record. Gli ultimi governi italiani, per dire, hanno tutti additato la Francia quale maggior responsabile della crisi in Libia: ma sul piano formale non si è mai mosso un capello. Altre cose sono punzecchiature, non passi governativi: nessuno si mette a richiamare l' ambasciatore per i deliri di Alessandro Di Battista sulla Francia colonialista, e tantomeno per la questione - in realtà mai nata - dei terroristi italiani rifugiati in Francia, che in concreto è esistita solo sui giornali e nei tweet di Salvini. La Francia, di questo e altro, se n' è mediamente fregata, ma i nervi di Macron - che ha problemi suoi - hanno ceduto non a caso sulla questione che più lo sta logorando: i cosiddetti gilet gialli. Pochi giorni fa Di Maio e Di Battista - in veste personale e politica - hanno incontrato la fazione più estremista di questo movimento, quella minoritaria che inneggia alla guerra civile e vorrebbe che l' esercito prendesse il potere. Roba elettorale (i grillini cercano alleanze per le Europee, essendo isolati) ma che ha fatto impazzire Macron che vede quella frangia quasi come dei terroristi. Il 7 gennaio scorso, oltretutto, Di Maio aveva scritto «Gilet gialli, non mollate!». CONSEGUENZE Da qui il casino che ci riporta addirittura alla Seconda guerra mondiale, quando l' Italia aveva dichiarato guerra alla Francia e l' ambasciatore aveva salutato. Da qui l' invocazione francese circa quel «rispetto che deve esistere tra governi democraticamente e liberamente eletti»: anche se il governo italiano, come detto - e come dimostra la diversa posizione di Matteo Salvini - non c' entra un accidente. A dirla tutta, neanche altre questioni meramente economiche tra Italia e Francia (Fincantieri, Alitalia e Tim) c' entrano un accidente, Macron però sta facendo congelare tutto. Ora, lasciando da parte il principio secondo il quale Di Maio può incontrare chi voglia (anche se tutto questo scherzetto rischia di costarci caro in termini strettamente economici, tanto per cambiare) molti osservano che in ogni caso il leader pentastellato avrebbe banalmente potuto astenersi, e mandare qualcun altro assieme a Di Battista a parlare con questi signori dei gilet. Dunque è stata una scelta? Una strategia? Anche qui - opinione nostra - probabilmente la risposta è no: è abbastanza raro che Di Maio comprenda appieno le conseguenze di quel che fa. di Filippo Facci

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