Cerca
Logo
Cerca
+

Donald Trump, tutti i segreti del presidente raccontati dall'ex braccio destro

Maria Pezzi
  • a
  • a
  • a

È rimasto nella stanza dei bottoni per 264 ore, ma tanto gli è bastato per lasciare un'impronta indelebile nell'amministrazione Trump. Anthony Scaramucci, detto “The Mooch”, Direttore della comunicazione della Casa Bianca per soli undici giorni (dal 21 luglio al 31 luglio 2017), analista politico nonché finanziere, già fondatore di SkyBridge Capital, hedge-fund da oltre 10 miliardi di dollari di asset gestiti, è il simbolo di una rapidissima parabola ai vertici del potere, la testimonianza più vivida della mutevolezza delle sorti umane, ma è anche la voce potentissima e genuina di un insider che ora può raccontare senza fronzoli splendori e miserie della presidenza degli Usa e della sua più stretta cerchia di collaboratori. Lo sta facendo in questi giorni a Roma, in un tour che lo vede impegnato in una serie di incontri istituzionali e di business, ospite di Ernesto Di Giovanni, esperto di politica internazionale, Fellow del Dipartimento di Stato Americano e Partner di Utopia - Relazioni Istituzionali, Comunicazione, Affari Legali & Lobbying. Tra i vari appuntamenti Scaramucci ha colto l'occasione per presentare negli uffici di Utopia il suo ultimo libro, Trump. Il Presidente del popolo (pp. 278, euro20), edito da Giubilei Regnani, all'interno di una tavola rotonda a porte chiuse alla quale hanno partecipato una serie di parlamentari, aziende e giornalisti. Il testo di Scaramucci è un viaggio articolato su due binari, la propria biografia e quella del Presidente, due destini che a un certo punto si incrociano, fino quasi a combaciare, col primo che diventa finanziatore della campagna elettorale e quindi collaboratore dell'altro. Nel libro Scaramucci ha un doppio merito, oltre a quello della brillante e vivida narrazione. Il primo è la capacità di riavvolgere onestamente il passato, a partire da quel giorno del 2015 quando Trump gli comunicò l'intenzione di candidarsi e lui gli rispose seccamente «Oh, non credo proprio. Ha visto i sondaggi di Fox News? La danno al due percento»; per arrivare a quel giorno maledetto in cui, durante un'improvvida chiamata a un giornalista del New Yorker, Scaramucci compromise la sua carriera alla Casa Bianca, usando parole pesantissime nei confronti di altri due uomini del Presidente, Steve Bannon a Reince Priebus, tra insulti gratuiti e accuse di fuga di notizie. Fu l'evento che determinò la fine della sua brevissima esperienza al fianco di Trump: ma Scaramucci, pur rimarcando il contesto di ipocrisia e competizione spietata in cui agiva (chi si muove attorno allo Studio Ovale, nota, deve necessariamente ingoiare la “pillola anti-amicizia”), riconosce i propri errori e ammette che il Presidente, a quel punto, non poteva far altro che chiedere la sua testa. Il secondo grande merito, figlio anch'esso di onestà intellettuale, è di non serbare alcun rancore per quella vicenda e non screditare l'azione politica di Trump per mere ritorsioni personali. Al contrario Scaramucci rileva lucidamente i meriti della sua amministrazione, analizza le origini della “Trumponomics”, ossia la dottrina economica di Trump, e gli aspetti che l'hanno resa necessaria, e fa un bilancio in buona parte positivo delle sue scelte in materia di politica interna ed estera. Nessun sassolino dalle scarpe da togliersi nei confronti dell'inquilino principale della Casa Bianca, dunque. Semmai solo il rimpianto che, dietro un Presidente rivoluzionario come Trump, ci sia stato per troppo poco tempo un comunicatore innovativo come Scaramucci. Chissà come sarebbe andata se dietro il grande Tycoon ci fosse stato ancora The Mooch. di Gianluca Veneziani

Dai blog