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Emmanuel Macron ed Angela Merkel, intrigo per papparsi le poltrone europee: il retroscena

Davide Locano
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Forse si tratta di un' impressione fallace, ma leggendo i giornali che raccontavano delle nomine nelle istituzioni europee, sembrava che cronisti e commentatori camminassero sulle uova, ben attenti a non suggerire alcun rapporto tra due avvenimenti: da una parte le designazioni ai vertici di Commissione e Bce, dall' altra la rinuncia ad avviare la procedura d' infrazione per debito eccessivo a carico dell' Italia. Ci pensasse il lettore a cogliere un nesso tra i fatti. Per il resto, il linguaggio del corpo ha sopperito alle parole: le facce tirate di Conte, Di Maio e Salvini non lasciavano trasparire sollievo per lo scampato pericolo e si addicevano piuttosto a chi ha da poco subìto un attacco di gastrite. Leggi anche: Rinaldi, la profezia sulla fine di Merkel e Macron Per ricostruire uno scenario diverso da quello fornito dalle dichiarazioni ufficiali e ufficiose, e che non trova il minimo riscontro, proviamo a immaginare l' intera vicenda attingendo alle risorse della narrativa, meglio se televisiva, per intenderci in stile House of Cards. Dopo i titoli di testa, l' azione comincia all' indomani delle elezioni europee, il 27 di maggio. Macron e Merkel, in ordine alfabetico e di apparizione, discutono sul modo migliore di attuare il loro progetto senza che nessuno strilli: a me la banca, a te la presidenza della Commissione. Angela, nonostante continui a vestirsi come un apparatchik della Ddr, è donna dalla prodigiosa intelligenza politica. Si trova ad affrontare un passaggio delicato: i numeri le impongono di rassicurare i socialisti che governano con lei in Germania e quelli che siedono a Strasburgo, senza tuttavia alienarsi l' appoggio dei liberali. Per togliersi d' impaccio, si rivolge ai fidi olandesi e pesca il nome di Timmermans, perfetto per la circostanza, ben sapendo che sarebbe andato di traverso al gruppo di Visegrád. È un uomo di paglia: a bruciarlo provvederanno gli italiani, che ancora non sanno quale parte in commedia toccherà loro. Con Macron c'è perfetta intesa, così come c' era stata nel 2011 con Sarkozy. Insieme progettano il trappolone nel quale il nostro esecutivo europerplesso non potrà non cadere: la Commissione uscente, che sta per passare la mano, avvia la procedura d' infrazione a nostro danno. Quirinale e Palazzo Chigi capiscono al volo che si tratta di una manovra politica e non di un provvedimento tecnico, ma tant' è. Juncker e Moscovici alternano minacce e lusinghe: la nostra porta, dicono, rimane sempre aperta. Messaggio chiaro. Si arriva così al G20 di Osaka, che si svolge il 28 e 29 giugno. I Paesi europei presenti al consesso, Italia compresa, trovano l' accordo sul nome di Timmermans. Da quel momento in poi, Angela tace. Il primo luglio è il giorno degli incontri a oltranza in sede europea. Qualcuno suggerisce a Conte che cosa ci si aspetta che faccia: impallinare Timmermans, adducendo la scusa che il metodo di scelta non l' aveva convinto. Mezza giornata di panico apparente, poi come per magia emerge il nome di Ursula von der Leyen. I tedeschi raggiungono il risultato di controbilanciare Christine Lagarde, ma nessuno può imputare loro d' averla imposta: è stata l' Italia a infrangere i patti. La procedura d' infrazione a nostro carico d' improvviso evapora: i conti presentati da Tria vanno più che bene. Ci si rivede a settembre. Titoli di coda. È andata davvero così? Per adesso è soltanto un futile esercizio di fantapolitica. Se fra dieci o quindici anni i protagonisti della faccenda pubblicheranno le loro memorie, qualcosa ci faranno sapere. Troppo tardi: come annotava Leo Longanesi con sconfortante sarcasmo, «quando potremo dire tutta la verità non ce la ricorderemo più». di Renato Besana

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