L’Italicum arriva finalmente in Aula, ma la sua approvazione non sarà certo semplice, nè veloce. C’è il rischio, anzi, che l’accordo tra Pd e Forza Italia salti e si debba ricominciare tutto daccapo. A perseguire questo obbiettivo si sono messi infatti il Nuovo centrodestra e, con particolare cinismo, la minoranza dem: i primi vogliono “blindare” la durata del governo, i secondi incastrare il premier alla sua maggioranza anomala. Per evitare la tragedia i due leader hanno in corso da 24 ore una trattativa molto serrata. Scadeva ieri il termine per la presentazione degli emendamenti alla proposta di riforma della legge elettorale concordata da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Nell’ultimo giorno disponibile sono state depositate altre cinquanta proposte di modifica che, sommate a quelle già presentate, portano il numero dei documenti da esaminare a quasi seicento. Il problema principale, però, non sono i numeri, ma i contenuti delle proposte e le firme che portano sotto. Tra gli emendamenti depositati ieri ce n’è infatti uno firmato dal fedelissimo di Pier Luigi Bersani, Alfredo D’Attorre, che limita l’applicazione del nuovo sistema elettorale alla Camera dei deputati. Per il Senato, dunque, resterebbe in vigore fino alla sua abolizione come Camera elettiva il sistema elettorale risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, un proporzionale senza sbarramento. Prima dell’approvazione definitiva delle riforme istituzionali, per le quali ci vogliono almeno dodici mesi, dunque, l’Italia non potrebbe tornare al voto. Stesso effetto produrrebbe l’approvazione di un emendamento presentato da Pino Pisicchio, del Centro democratico, che consente sì l’approvazione dell’Italicum, ma ne rinvia l’entrata in vigore a diciotto mesi dopo, “regala” alla legislatura un anno e mezzo di vita. Stesso effetto produrrebbe l’emendamento di un altro piddino, Giuseppe Lauricella, che vincola l'entrata in vigore della legge alla riforma del Senato. È quello di scongiurare le elezioni subito, in autunno, o, come è più probabile all’inizio del prossimo anno, lo scopo dichiarato dall’Ncd. I fuoriusciti dal Pdl - che hanno tre ministri - puntano infatti a perpetuare questa situazione e a far valere la loro golden share sul governo senza che il premier possa minacciare le urne. Questa mossa della minoranza Pd che gioca di sponda con il Ncd, però, ha mandato su tutte le furie Forza Italia. «Gli accordi si modificano insieme o non si modificano, inoltre queste proposte sono di dubbia costituzionalità e, pertanto, sono irricevibili», dice l’azzurro Gregorio Fontana, questore di Montecitorio ed esperto di meccanismi elettorali. Ancora più duro il capogruppo Renato Brunetta: «Noi siamo per rispettare i patti si deve andare avanti con decisione: subito, entro marzo, la nuova legge elettorale, e in parallelo far partire la riforma del Senato e quella del Titolo V della Costituzione». Denuncia la manovra, dal fronte opposto, anche un renziano come Roberto Giachetti: «Quelli che non vogliono cambiare legge elettorale sono tanti, marciano separati ma colpiscono insieme. Sarà dura», ammette. Il premier sembra non riuscire a trovare una sintesi tra le posizioni del suo partito e dell’Ncd e il contenuto dell’accordo preso solennemente col Cavaliere. Per “cambiare le carte in tavola” senza scontentare nessuno ieri ha sentito prima il forzista Denis Verdini, poi il presidente di Forza Italia in persona. «Siamo alla stretta finale, possiamo davvero portare a casa la legge elettorale entro la settimana», dice il premier in serata ai suoi. E conferma che lìaccordo è «alla portata», anche se, ammette, «si devono superare ancora varie difficoltà». Il centrodestra, però, tiene il punto, ma, probabilmente, dovrà cedere qualcosa. Una via d’uscita all’impasse, quella alla quale si lavorava ieri in tarda serata, c’è quella di approvare la riforma elettorale, ma posticiparne l’entrata in vigore a dopo il semestre europeo, cioè il prossimo gennaio. Per evitare che Forza Italia si sfili denunciando il “tradimento”, il premier acconsentirebbe di far approvare una clausola che prevede che, qualora la legislatura dovesse interrompersi anticipatamente, l’Italicum entrebbe in vigore immediatamente. Queste difficoltà hanno già fatto un danno grave ai democratici e all’immagine del suo segretario: l’assemblea del gruppo parlamentare prevista per ieri sera è saltata. di Paolo Emilio Russo