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Iran travolto dal coronavirus, ma il regime censura i veri dati

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Tommaso Montesano
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La Guida Suprema, l' ayatollah Ali Khamenei, ha ancora una volta minimizzato la portata dell' epidemia in Iran. Affidandosi al proprio account Twitter, Khamenei - apparso in tv con i guanti - ha affermato che «il coronavirus non colpirà il Paese a lungo e se ne andrà». Eppure proprio ieri la Repubblica islamica è balzata al terzo posto come numero di contagi: l' ultima rilevazione ad opera della Johns Hopkins University assegna a Teheran 2.336 ammalati. Solo Cina e Corea del Sud ne hanno di più. E nelle ultime ore si è consumato il sorpasso all' Italia. Quanto alle vittime, quelle ufficiali sono 77 (dato da aggiornare).

Ma sulla reale situazione nella Repubblica islamica è lecito nutrire qualche dubbio, visto che secondo l' opposizione al regime le vittime sarebbero molte di più. Sui social - come ricostruisce il periodico on line Atlantico Quotidiano - alcune testimonianze fanno circolare altre cifre, come quella secondo cui nella sola Teheran ci sarebbero state più di 1.500 vittime. Non solo: i morti sarebbero stati seppelliti in fosse comuni per nascondere alla svelta i cadaveri. E c' è un altro particolare che desta allarme sull' effettiva realtà sanitaria: come riportato dal sito Iran Wire, lo scorso 22 febbraio un gruppo di specialisti avrebbe incontrato il viceministro della Salute, Iraj Harirchi, per mettere in guardia gli ayatollah sui rischi dell' epidemia. Tuttavia poco dopo la riunione, i medici sarebbero stati avvicinati dai Pasdaran - le Guardie della rivoluzione islamica - e invitati a non diffondere informazioni. Inutile, visto che lo stesso Harirchi, dopo aver dato voce alla linea morbida, che nega ogni emergenza, è stato costretto a scegliere la strada dell' auto-isolamento dopo essere stato a sua volta contagiato.

Di certo, di fronte all' evoluzione del coronavirus, Teheran non ha adottato misure di contenimento. L' epicentro del focolaio è stato localizzato nella "città santa" di Qom, a due ore dalla capitale, ma il centro non è stato posto in quarantena. Così come la compagnia aerea iraniana Mahan Air - sotto sanzioni - continua a volare liberamente da e verso la Cina, senza predisporre alcun controllo sanitario. E dall' Iran l' epidemia si è diffusa altrove. La rivista The New Yorker ha ricostruito come dalla Repubblica islamica siano partiti casi di contagio verso Azerbaigian, Afghanistan, Bahrein, Canada, Georgia, Iraq, Kuwait, Libano, Oman, Pakistan, Emirati Arabi Uniti e, in ultimo, Stati Uniti. Nello Stato di New York si è registrata l' infezione di una donna di 35 anni, appena tornata dall' Iran.

In tutto questo il regime ha usato l' epidemia per nascondere l' insuccesso delle elezioni del 21 febbraio, quando la più bassa affluenza ai seggi dal 1979 è stata giustificata con il coronavirus. La minore partecipazione al voto sarebbe stata causata dalla propaganda occidentale, accusata di aver diffuso paure immotivate sul contagio. Eppure ieri Khamenei ha ordinato alle Forze armate di collaborare con il ministero della Sanità, «in prima linea nella guerra» contro il coronavirus, mobilitando 300mila militari. Un segnale contraddittorio rispetto alla sicurezza ostentata finora. Come quello di far uscire temporaneamente dalle carceri oltre 54mila detenuti per impedire la diffusione del contagio nei penitenziari.

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