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Joe Biden, "no" al gasdotto alternativo: retroscena, così ha condannato l'Italia ad essere dipendente da Putin

Joe Biden

Fausto Carioti
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Uno dei responsabili della dipendenza europea dal metano russo vive e lavora a Washington: si chiama Joe Biden. È il succo della triste storia del gasdotto EastMed, e se nelle cancellerie europee non se ne parla, o lo si fa sottovoce, è solo perché conferma quanto l'inquilino della Casa Bianca sia inadeguato alla leadership del mondo occidentale. Il progetto era nato nel 2016 e prevedeva di portare in Italia e in altri Paesi dell'Europa meridionale il gas estratto nelle acque tra Israele e Cipro, grazie a un tubo lungo 1.900 chilometri, gran parte dei quali percorsi sul fondo del mare. L'opera sarebbe costata 6 miliardi di euro e, secondo la tabella di marcia stilata prima del Covid, avrebbe dovuto essere pronta nel 2025. Sarebbe giunta in Grecia, tenendosi bene alla larga dalla Turchia, e da lì quel gas sarebbe arrivato anche in Puglia, ad Otranto, tramite la conduttura Poseidon, progettata negli anni precedenti da una joint-venture italo-ellenica partecipata dalla Edison.

 

 

Per l'Italia, sarebbe stato come avere un secondo gasdotto Tap, quello che porta il metano dall'Azerbaijan a Melendugno, 25 chilometri a nord di Otranto: identica portata, pari a 10 miliardi di metri cubi di gas l'anno, se necessario raddoppiabile in tempi relativamente brevi. E siccome l'Italia consuma 70 miliardi di metri cubi di gas l'anno, 29 miliardi dei quali provengono dalla Russia, EastMed, a pieno regime, avrebbe potuto ridurre dei due terzi la nostra dipendenza da Mosca. Anche per questo, è interessante notare che durante il governo gialloverde Giuseppe Conte e i Cinque Stelle si erano opposti al coinvolgimento italiano nel progetto, mentre Matteo Salvini e la Lega erano favorevoli.

 

 

I passi più importanti, comunque, erano stati già fatti. Il ministro Carlo Calenda aveva firmato nel 2017 l'intesa per EastMed, inserito poi dalla Ue tra i "Progetti d'interesse comune". Cosa poteva andare storto? Un cambio di guardia alla Casa Bianca, ad esempio. Perché, sebbene Washington sia geograficamente lontana, quella fetta di mondo ricade nella sua area d'influenza, anche per l'interesse che gli Stati Uniti hanno a tenere buona la Turchia, membro della Nato che non disdegna di flirtare con Mosca. E poi c'è l'imperativo etico della decarbonizzazione, che il democratico Biden ha messo in cima alle priorità del suo mandato.

Il repubblicano Donald Trump era favorevole al progetto, anche in nome dell'amicizia che lo legava al governo di Gerusalemme. Il suo successore ha deciso invece che quel gasdotto non s' ha da fare. Nel gennaio di quest' anno, quando le voci sul possibile dietrofront statunitense avevano iniziato a girare, è giunta la conferma definitiva. Nulla di ufficiale, tutto è stato espresso in modo "informale" tramite non precisate "fonti diplomatiche", anche perché Biden, sulla carta, non ha alcun diritto di bloccare decisioni prese da altri governi. Ma la consegna a Grecia, Israele e Cipro è stata comunque chiara.

 

 

L'agenzia Reuters ha saputo che «la parte americana ha espresso alla parte greca riserve sulla logica del gasdotto EastMed, e ha sollevato questioni sulla sua fattibilità economica e ambientale». E l'ambasciata Usa a Gerusalemme, ha raccontato il Jerusalem Post, ha comunicato agli israeliani che gli Stati Uniti sono «impegnati a promuovere tecnologie per l'energia pulita» e dunque non condividono l'esigenza di costruire nuovi gasdotti. Tutto questo con gran soddisfazione della Turchia, che probabilmente è la prima ragione per cui Biden ha fatto la mossa. Poche settimane dopo che Washington aveva scoperto le carte, Vladimir Putin ha invaso l'Ucraina e si è visto che la dipendenza dell'Italia e degli altri Paesi europei dal gas russo è il vero tallone d'Achille dell'Alleanza atlantica. Una debolezza destinata a durare: le navi metaniere statunitensi che, attirate dal prezzo altissimo al quale lo paghiamo, sono pronte ad attraversare l'oceano per venderci il gas in forma liquida, possono coprire solo una frazione dei volumi garantiti oggi da Mosca, e gasdotti in grado di rimpiazzare quelli di Gazprom non ne esistono, nemmeno sulla carta.

 

 

Così, adesso, c'è chi spera che si possa rimediare a quella scelta scellerata. Il senatore Paolo Arrigoni, responsabile energia della Lega, chiede al governo Draghi di prendere in mano, dopo il Tap, «il progetto altrettanto strategico del sistema EastMed-Poseidon». Altrimenti, avverte, «con il gas di Putin avremo a che fare ancora a lungo». Tutto vero. Ma, ammesso che Draghi concordi, ci sono altri leader da convincere, e il primo è quello degli Stati Uniti. 

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