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Lukashenko molla Putin? "Non combatteremo". Alleato dell'Occidente? Voci clamorose

Carlo Nicolato
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Il presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenko ha promesso che farà «tagliare la testa» a chiunque cerchi di disturbare la pace nel suo Paese. Parole non certo pacifiche nonostante l'obiettivo in qualche modo voglia esserlo, in fondo il personaggio è quello che è, ma comunque un segnale che a Minsk qualcosa sta cambiando. «È meglio stare lontano dalla guerra», ha detto invitando tutti quelli che invece ne vorrebbero una a fare un salto in Ucraina a vedere bene cosa sta succedendo. Certo, un avviso alla sua popolazione che di lui ne ha le tasche piene, ma anche un messaggio chiaro: lui più di così non farà, più di tanto Putin non lo aiuterà. Credeva forse di potersi agevolmente sedere al tavolo dei vincitori (purtroppo ci ricorda qualcosa) e all'inizio si era offerto di umiliare gli ucraini a quello delle trattative troppo precocemente approntato, ma ora sembra voglia smarcarsi il più possibile da Mosca riallacciando contatti con quell'Occidente contro cui aveva minacciato fuoco e fiamme.

 

 

 

SEGNALI DI APERTURA

Qualche giorno fa il suo ministro degli Esteri Vladimir Makei ha inviato una lettera segreta ai suoi colleghi europei che andava ben oltre, fino quasi a implorare l'Europa a riaprire «i contatti diplomatici, che è l'unico modo per trovare una via da seguire in ogni circostanza». «Mi auguro saggezza, pragmatismo, sostegno alla sovranità e indipendenza di tutti i Paesi europei, Bielorussia compresa, e che tutti siano guidati dalla volontà di preservare la pace e la prosperità» ha aggiunto Makei con toni concilianti, specie quando si augura che tali colloqui servano ad allentare quelle sanzioni che gravano sul Paese grazie all'appoggio a Putin. Noi con c'entriamo niente, ha aggiunto sfacciato il ministro, «respingiamo categoricamente qualsiasi insinuazione che la Bielorussia sia in qualche modo coinvolta nelle ostilità in Ucraina. La Bielorussia non intende essere coinvolta nella guerra. Abbiamo avuto abbastanza guerre nella nostra storia». La lettera non è rimasta segreta per molto, qualche ministro l'ha fatta avere al giornalista ceco Ricard Jozwiak, corrispondente a Bruxelles di Radio Liberty, ed è stata pubblicata. Ma per la verità ha attirato poco l'attenzione, provenendo da un Paese largamente compromesso. Eppure i segnali non arrivano solo dal ministro Makei. Angelika Borys, capo dell'Unione dei polacchi in Bielorussia, è stata trasferita dal carcere agli arresti domiciliari a fine marzo. Varsavia ne chiedeva da tempo il suo rilascio. Un'altra sorpresa arriva dal Comitato di frontiera di Stato bielorusso che per un mese, dal 15 aprile al 15 maggio, sta permettendo ai cittadini di Lettonia e Lituania di entrare in Bielorussia senza visto. Cosa mai vista da quelle parti. Infine forse il segnale più interessante: i media bielorussi hanno segnalato che di fatto la crisi dei migranti, innescata dallo stesso Lukashenko per ricattare l'Occidente e che ha costretto i Paesi confinanti ad alzare muri con il placet di Bruxelles, è praticamente finita. I centri che li ospitano sono pressoché vuoti e da settimane non si segnalano passaggi alla frontiera.

 

 

 

TRAMPOLINO DI LANCIO

Lukashenko insomma ha capito che le nuove sanzioni, che si aggiungono a quelle già comminate dalla Ue lo scorso anno rischiano di portare il Paese velocemente allo sfascio, tantopiù che pare Mosca si sia ben guardata dal dare risposte esaustive circa la compensazioni promesse per l'aiuto iniziale. Abbandonato da Putin, se non tradito, non resta altra strada se non quella di farsi passare per vittima delle circostanze puntando sul fatto che Minsk comunque è riuscita a resistere alla tentazione di entrare direttamente in guerra e per questo ha ottenuto una sorta di "patente" dall'Ocse, che considera ufficialmente il Paese "non partecipante", sebbene abbia riconosciuto che la Russia lo sta usando come trampolino di lancio. Nel tentativo di sganciarsi il più possibile dall'ombra malevola di Putin, negli ultimi giorni Lukashenko è arrivato perfino a dire che Minsk dovrebbe ricevere le stesse garanzie di sicurezza di Kiev e, per la prima volta da almeno un paio di anni, ha tenuto a sottolineare che la politica estera della Bielorussia non è identica a quella russa.

 

 

 

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