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Battaglione Azov, "i 300 che non si sono arresi". Voci da Mosca, una fine atroce?

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La resa del Battaglione Azov è un momento forse decisivo nella storia della guerra in Ucraina. Ora però si apre la contesa tra Mosca e Kiev sul destino dei soldati considerati dai russi dei "nazisti". L'evacuazione dei militari ucraini dal bunker sotto le acciaierie è di fatto il preludio alla resa di Mariupol, l'ultima città contesa sulle coste del Mar d'Azov, ora completamente sotto il controllo del Cremlino.

 

 



Un trionfo anche simbolico, visto che l'obiettivo dichiarato a inizio della "operazione speciale" (per quanto potesse essere solo un pretesto) era quello di "denazificare" l'Ucraina ed eliminare uno a uno i membri di quel battaglione considerati i responsabili della strage di filo-russi a Odessa nel 2014 e protagonisti delle violenze nel Donbass. L'ordine di Kiev ai combattenti asserragliati nell'acciaieria di deporre le armi, ringraziandoli per "l'eroico" impegno, è stato il liberi tutti. A quel punto, i 264 militari - tra cui 50 feriti - hanno lasciato l'impianto e sono stati trasferiti nei territori separatisti. Alcune centinaia, però, sono ancora nei tunnel, inclusi i loro comandanti. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky tratta con il nemico russo nella "speranza di salvarli", ma da Mosca arrivano segnali minacciosi. Gli irriducibili del Battaglione Azov sono da considerare "terroristi" e come tali "non possono essere oggetto di scambio di prigionieri".

 

 

 



Questa ipotesi era stata ventilata dalla viceministra della Difesa ucraina Hanna Maliar, ma Mosca non lo ha confermato. Per tutti gli altri rimasti nell'acciaieria, che sarebbero circa 300, Kiev ha fatto sapere che si continua a negoziare. Ma la strada appare in salita. "I criminali nazisti non dovrebbero essere scambiati, ma processati", ha tuonato Vyacheslav Volodin, il presidente della Duma, la Camera bassa russa che mercoledì valuterà una risoluzione che vada in questa direzione. E dal Cremlino le parole di Dmitry Peskov, portavoce del presidente Putin che si è limitato a spiegare che i combattenti di Azovstal saranno trattati "in linea con le leggi internazionali", suonano più come una minaccia che come una rassicurazione. 

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