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Azovstal, lo sconvolgente precedente storico: gli 82 giorni nella fonderia sotto le bombe...

Tommaso Lorenzini
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Visto un assedio, visti tutti? Una semplificazione forse estrema eppure, fatti alla mano, in grado di superare la prova della storia. Cambia la guerra, cambiano le armi però, nel corso del tempo, le dinamiche che ruotano attorno a chi tenta di sopravvivere dentro una posizione fortificata, circondata da nemici venuti per la conquista, si somigliano terribilmente. Stato d'assedio. Assedianti e assediati dal Medioevo all'età moderna (Il Mulino, pp. 374, euro 25), firmato dal professor Duccio Balestracci, già docente di Storia Medievale all'Università di Siena, è un libro che se rimanda a episodi di secoli addietro offre passaggi di attualità che ben si legano agli ultimi, drammatici mesi dell'Ucraina.

 

 

E in particolare ai fatti dell'acciaieria Azovstal di Mariupol, divenuta una moderna città-stato circondata dall'invasore, dove ritroviamo tutti i topoi della narrazione sul tema: sofferenza, eroismo, bassezze, privazioni, orgoglio, notizie a cavallo fra realtà e propaganda. È vero, Balestracci avverte che «nella forma attuale l'assedio non ha certamente l'aspetto che ha avuto fino alla fine dell'Ottocento, quando, con Parigi 1870, si può forse dire di essere in presenza dell'ultimo grande assedio di tipo tradizionale. Tuttavia», e qui si aprono spiragli che attraversano il tempo e lo spazio, «non si può fare a meno di notare che certi assedi contemporanei hanno le stesse caratteristiche dei loro predecessori». Che siano Costantinopoli nel 1453, Vienna nel 1683 o Acri nel 1291.

COSTI ALTI PER TUTTI
Dunque basta scorrere l'indice del libro per scoprire i paralleli storici con quanto avvenuto all'Azovstal. A partire dal primo degli 82 giorni di attacco, perché l'assedio costa caro anche a chi lo porta e Putin dovrebbe averlo imparato. «Evitate l'assedio, per quanto è possibile, ammonisce nel III secolo a.C. Sun Tzu, perché necessita di una lunga preparazione e, oltre a immobilizzare le altre operazioni di guerra, costa». E, proprio ieri, lo Stato Maggiore dell'Esercito di Kiev spiegava che «i difensori di Mariupol sono eroi del nostro tempo. Mantenendo le posizioni ad Azovstal non hanno permesso al nemico di trasferire 17 gruppi tattici di battaglione (20.000 soldati) in altre aree. Ciò ha impedito l'attuazione del piano per la rapida cattura di Zaporizhzhia, l'accesso al confine amministrativo delle regioni di Donetsk e Zaporizhzhia e ci ha dato l'opportunità di preparare e creare altre linee difensive». Per gli assedianti nel conto entrano anche le perdite umane dovute alla resistenza, e chissà che ai russi non capiti quanto occorso agli imperiali che nel 1553 assediarono il castello senese di Monticchiello: tanti furono gli uomini lasciati sul campo che il luogo venne ribattezzato Monteflagello. A volte, a decidere le sorti dell'assedio è il traditore, che quando viene scoperto ha vita breve. Come Giovanni Bartolini, beccato nel 1472 a Volterra a mandare segnali agli assedianti fiorentini e perciò impiccato. Sarà tutto da vedere il destino di tale Ciuprin (ora contumace), elettricista di Azovstal incriminato da Kiev per aver rivelato ai russi la mappatura dei sotterranei dai quali è stato tentato un colpo di mano a sorpresa, però sventato.

 

 

LE DONNE SOLDATO
Il responsabile dell'intelligence del reggimento Azov, Ilya Samoilenko, nei giorni scorsi aveva confermato «che fra di noi ci sono donne militari che combattono e sono davvero molto forti». Una figura che ha tutta una propria letteratura. Hanno dato battaglia nel 1406 le pisane la notte che i fiorentini tentarono di prendere la città di nascosto; l'hanno fatto nel 1234 le catare di Montsegur partecipando all'ultima disperata carica contro l'esercito crociato. Figure reali o ai limiti del leggendario, come Maria Chiaberge Bricco, che nel 1706 guidò una sortita da Torino al castello di Pianezza in mano al nemico tramite un passaggio segreto.

 

 

FAME E SETE
Nell'immaginario di un assedio a farla da padrone è la fame e nell'Azovstal l'hanno imparato. Un medico intrappolato nell'acciaieria era riuscito a mettere in rete un video: «Qui si muore per le ferite non curate e per la mancanza di cibo». Se a Leningrado furono registrate 900 accuse di cannibalismo, e nel corso della storia si è parlato di svariati episodi di antropofagia, di certo c'è che gli assediati si sono ritrovati spesso a mangiare pelli, scarpe, perfino il cuoiame dei tamburi. Manca il pane? Allora per la farina si usano le candele di segale. Il cronista francese De Léry (XVI secolo) addirittura in un suo "manuale" erudisce come panificare le ossa umane, citando un trattato arabo-andaluso ma specificando che «chi ne mangia muore subito». Inutile dire che si muore anche di sete e questo vale pure per gli assedianti: a Gerusalemme i turchi arrivano a bere l'urina dei cavalli, dentro l'Azovstal hanno dovuto usare l'acqua (purissima...) prelevata dalle tubature degli altoforni. E immancabilmente, a un certo punto dell'assedio spuntano le "bocche inutili": sono gli inadatti al combattimento, vecchi, bambini, donne, feriti. A volte vengono evacuati tramite accordo con chi assedia, alle volte sono cacciati dalla città e abbandonati al loro destino. Ad Azovstal per giorni l'Onu ha invocato corridoi umanitari per salvare proprio costoro; i russi spesso li hanno negati usando il "no" come "arma psicologica" per fiaccare la resistenza, altre volte hanno acconsentito ma non confondiamolo con l'humana pietas, perché dietro c'è piuttosto il calcolo e l'opportunismo: è sempre meglio liberare il campo da un possibile difensore, per quanto menomato.

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