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Volodymyr Zelensky, arrivederci all'Ucraina: perché tutto sta crollando, cosa accadrà

Pietro Senaldi
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«Devo parlare con Putin». Le parole di Zelensky sono il segnale che siamo alla vigilia di qualcosa di decisivo nella guerra ucraina e il fatto che il presidente aggiunga che «non c'è troppa fretta» non serve a smorzare la drammaticità del momento. Da quando la Russia ha deciso di alzare l'intensità dell'offensiva, utilizzando armi speciali, il conflitto ha iniziato a pendere decisamente in suo favore. Il Donbass è di fatto conquistato; approssimativamente Mosca ormai controlla il 20% del territorio ucraino e si appresta ad attaccare nuovamente Kharkiv, la roccaforte industriale del nemico. La resa dei miliziani del Reggimento Azov, ordinata da Zelensky che non ha ottenuto nulla in cambio della cessione dei suoi «eroi vivi» al nemico, è stata una svolta paragonabile alla disfatta di Stalingrado per i tedeschi e migliaia di soldati ucraini sono accerchiati e isolati, come i diecimila di Severdonetsk, a nord di Mariupol.

 

 

 

LA SVOLTA DELL'AZOV

Se fino a un paio di settimane fa l'inerzia della guerra spingeva a favore di Kiev, ora la situazione è opposta. Indiscrezioni riferiscono che Zelensky sarebbe prossimo a un repulisti della propria linea di comando, sulla quale vuole riversare ogni colpa della mala parata. Pare che siano sempre più numerosi i casi di uomini che rifiutano l'arruolamento perché non vogliono diventare carne da macello, mandati in prima linea senza adeguati armamenti. Il presidente è in difficoltà, dopo Azov. Se i russi useranno la mano pesante sui prigionieri del Reggimento, il responsabile della mala sorte dei combattenti agli occhi degli ucraini sarà lui e nessun altro. Si prepara uno scenario di guerra a media intensità, simile a come è stato in Donbass dal 2014 al 2022, solo con tonalità un po' più alte, ma allora non c'erano gli occhi del mondo puntati sullo scacchiere e la regione era controllata da Kiev. Anche per questo Putin, come ha specificato nella sua telefonata a Draghi, non vuol mollare. E perché dovrebbe? La popolazione russa è per lo più con lui; e anzi, i problemi di consenso gli derivano dal non avanzare ancora di più. Rischia un pur improbabile golpe più se si ferma che se tira dritto. Inoltre l'Europa, che ha preso a pagarlo in rubli, come da suo ricatto, è quattro settimane che rinvia l'attivazione delle sanzioni sul petrolio, mentre di quelle sul gas neppure se ne parla. Il ventre molle del conflitto è l'Occidente, in particolare l'Europa, dove l'opinione pubblica è sempre più insofferente. Per di più, a ovest a differenza che a Mosca si vota, tra un mese in Francia, tra sei in Usa e l'anno prossimo in Italia e ogni minimo cambiamento del quadro politico rischia di indebolire il fronte anti-Putin, che ormai è a completa trazione anglo-polacca. Londra e Varsavia sono i due alleati su cui Washington può maggiormente contare, oltre a Lituania, Estonia e Lettonia, mentre la Germania si rifiuta di dare i suoi carri armati micidiali a Kiev. Il Patto Atlantico sta sempre più diventando Baltico, anche in virtù delle recenti prese di posizioni delle ex neutrali Svezia e Finlandia. L'Italia si sa come è messa, con la maggioranza dei cittadini contrari all'invio di altre armi a Zelensky e oltre mezzo Parlamento che sta tirando il freno a mano. Ma anche negli Stati Uniti si alzano voci che invitano Kiev a una trattativa, ancorché perdente, forse per paura che la situazione precipiti. Lo hanno detto chiaramente ieri, sia l'ex comandante supremo della Nato, Stavidris, invocando un compromesso rapido, sia il generale Petraeus, ex capo dell'esercito americano in Iraq, secondo il quale «la guerra è troppo costosa e bisogna negoziare». In teoria, starebbe a Putin e Zelensky farlo, ma è evidente a tutti che la soluzione non potrà invece che essere calata dall'alto. Se Xi Jinping non avesse gravi problemi interni, con l'errata gestione del Covid che ha paralizzato l'economia cinese e rischia di metterlo in seria difficoltà al congresso del Partito in autunno, dove rischierebbe perfino di perdere la leadership, forse la Cina potrebbe esercitare la propria influenza su Mosca in maniera decisiva. Ma non è aria.

 

 

 

CRISI ECONOMICA GLOBALE

Questo conflitto, prevedibile e previsto, nelle attese doveva servire a cambiare le geometrie del potere mondiale e a ridisegnare gli equilibri del mercato del gas e del petrolio, ridimensionando lo strapotere russo a vantaggio di Stati Uniti e Paesi Arabi. Per ora ha prodotto il solo effetto di incancrenire, drammatizzare e ingigantire a livello nazionale una crisi locale e di piegare le economie occidentali, russe e cinesi; in buona sintesi, di tutto il mondo. Quando e come ne usciremo, non è dato sapere. Le sole certezze sono che l'Europa ha dimostrato la propria impotenza e l'Ucraina ne verrà fuori distrutta e non più integra; un pezzo ai russi, un pezzo agli ucraini, e magari con una longa manus polacca su Leopoli. Anche per questo l'Ungheria non è così anti-Putin. 

 

 

 

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