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Vladimir Putin, il regalo con cui omaggiamo ogni giorno lo zar: soldi, un segreto inconfessabile

Michele Zaccardi
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 Dovevano rendere la Russia un «paria internazionale», emarginandola dai mercati finanziari e costringendola a capitolare. Finora, però, le sanzioni varate dall'Unione europea, e giunte al sesto pacchetto, sembrano non avere scalfito la fortezza costruita dal Cremlino a partire dall'invasione della Crimea nel 2014. Se l'embargo (parziale) del petrolio approvato martedì sortirà gli effetti sperati si vedrà. Al momento, tuttavia, gli 800 milioni di dollari che ogni giorno arrivano in Russia in cambio di gas e greggio assicurano a Putin una certa tranquillità. Secondo Bloomberg, infatti, i ricavi dalla vendita di idrocarburi raggiungeranno quest' anno i 285 miliardi di dollari, il 20% in più rispetto al 2021.

 


Denaro che, per un governo così dipendente dalle entrate derivanti dall'export come quello russo, rappresenta una garanzia di stabilità finanziaria. Nel 2021 le tasse sui ricavi delle compagnie energetiche hanno infatti rappresentato il 40% del totale degli incassi del Cremlino. Incassi che ad aprile erano stimati in aumento di 103 miliardi per quest' anno. Su un bilancio di 315 miliardi, si tratta di una crescita di oltre il 30%. C'è poi da considerare la rivalutazione monstre del rublo, ormai incoronato miglior valuta dell'anno. Dopo aver toccato il minimo il 7 marzo, a quota 160 contro il dollaro, ieri il rublo ha chiuso a 63,8, superando persino i livelli prebellici. Certo, l'apprezzamento della moneta è stato anche frutto delle limitazioni ai movimenti di capitali introdotti dalla Banca centrale. Ma a incidere sono soprattutto gli assegni che l'Unione europea e tutto il resto del mondo, con l'eccezione degli Stati Uniti, continuano a staccare in cambio di energia e materie prime. L'avanzo delle partite correnti, ovvero la differenza tra esportazioni e importazioni, non è mai stato così alto dal 1994: nei primi quattro mesi dell'anno, secondo le stime preliminari della Banca centrale russa, ha toccato i 95,8 miliardi di dollari, 3,5 volte il valore dello stesso periodo del 2021.
 

 

BOOM DEI PREZZI Circa i due terzi del surplus sono dovuti alle esportazioni, spinte soprattutto dai prezzi in ascesa. Un terzo, invece, deriva dalla contrazione delle importazioni, sulle quali le sanzioni sembrano quindi aver inciso in modo piuttosto pesante, seppure con costi elevati per le imprese occidentali che facevano affari in Russia. D'altra parte, tra i migliori clienti di Mosca ci sono i Paesi europei. Secondo il contatore Crea, dall'inizio della guerra i 27 membri dell'Ue hanno versato alle società energetiche russe 58,2 miliardi di euro, dei quali 30,6 miliardi per il petrolio, 26 miliardi per il gas e 1,46 miliardi per il carbone. E questo senza considerare il fatto che la Russia è anche uno dei principali esportatori di materie prime. Ad esempio, il 45,6% della produzione mondiale di palladio, metallo usato anche nell'industria petrolifera, proviene da Mosca. E poi grano, nichel, alluminio e platino. Insomma, affamare la Russia è molto difficile. Soprattutto se alcuni Paesi si guardano bene dall'applicare sanzioni che, inevitabilmente, hanno un costo anche per chi le impone. È il caso della Cina e dell'India che, anzi, si avvantaggiano dalla propria posizione di neutralità, accaparrandosi il petrolio di Mosca a prezzi scontati.
 

 

CINA E INDIA Sempre secondo i calcoli di Bloomberg, dall'inizio della guerra le raffinerie indiane hanno acquistato 40 milioni di barili di greggio russo, un incremento del 20% sull'intero 2021. Questo mentre alcuni rivenditori di petrolio russo hanno stipulato contratti in Yuan per facilitare la vita agli importatori cinesi. Tuttavia, se al momento sembra che Mosca sia riuscita a incassare bene il colpo, ciò non significa che non stia soffrendo dell'isolamento nel quale è precipitata. A metà maggio il ministro dell'economia russo ha stimato un calo del Pil del 7,8% per quest' anno mentre la produzione di petrolio dovrebbe diminuire del 9% e quella del gas del 5,6%. Ma è soprattutto nei prossimi mesi che le sanzioni faranno sentire il proprio effetto. Al di là dell'embargo sul petrolio, l'economia russa potrebbe venire duramente colpita dal divieto di importazioni di tecnologie e macchinari necessari all'industria petrolifera e bellica. Tutti prodotti che Mosca non ha e che deve acquistare dall'estero. E poi fare la guerra costa parecchio. Le riserve di valuta pregiata e oro della banca centrale sono passate da 643 miliardi di dollari la settimana prima dell'inizio del conflitto, a 583,4 miliardi il 20 maggio. E la metà, circa 300 miliardi, sono congelate all'estero. 

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