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Scandinavia infelice, ecco cosa accade nella piatta Danimarca: occhio alla Jantelov

Klara Murnau
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Benvenuti nel paese che di compiaciuta abnegazione e semplicità, ha fatto il principio cardine del proprio stile di vita. Benvenuti nel Paese della cortese distanza, della Sirenetta e delle bollenti tasse. Regno di Danimarca, terra madre di ogni perfezione, che si fregia di incontestabili virtù universali e che mai e poi mai si sognerebbe di ammettere, che all'orizzonte del loro paesaggio piatto come un immenso campo da golf, esistano tra un birrificio e l'altro, dei peccati degni di essere inscritti in quella cosa brutta brutta brutta, che si chiama fallace umanità. Cercando di non pestare un Lego lungo la Strøget, ho potuto con l'aiuto di esperienza e qualche autoctono testimone, osservare dove i nostri amici ex vichinghi generalmente distolgono lo sguardo. I danesi sono conosciuti nel mondo per molte cose: la Birra, le Bionde e naturalmente Bang Olufsen. Fare l'elenco di tutte le meraviglie che è possibile acquistare con le giuste capacità economiche è riduttivo, così come non mi troverete mai giudicare l'oggettiva bellezza di uomini e donne presenti nella loro capitale, un vero e proprio paradiso da copertina. E se in questa dimensione parallela volete restare, evitate di mettere il vostro piede appena fuori dal confine di Copenhagen o chessò Århus, o rischierete un brutto risveglio imbattendovi nei cugini di campagna di quelle divinità norrene appena menzionate, che da flessuose ed eleganti, si trasformano in massicci e quadrati scaldabagni, ma con molta meno predisposizione a tenervi al calduccio.

 

 

 

LA CULTURA HYGGE

Un distacco che non è proprio quello che vi aspettereste dalla decantata cultura hygge, l'apoteosi del cozy, in cui si crogiolano felici tra calzini spessi, candele, case libri auto e fogli di giornale credendo di stare bene quando è inverno e te che vi verrà propinata fino al vomito, con simpatica scritta spiattellata ovunque, kitsch ex voto di turistica attrazione. Ma solo chi ha già imparato la dura lezione da Airbnb, sa che davanti al cozy niente è quel che sembra, quindi se non amate truciolato o lo stile da casa dello studente, fate attenzione. Understatement è la parola chiave, e la legge di Jante - Janteloven - si assicura che questo sia sempre ben tenuto a mente. L'insieme non ufficiale di regole che si sono fatte strada nello stile di vitadanese e scandinavo, sono tratte da un piccolo frammento di un romanzo degli anni '30 Un fuggitivo incrocia le sue tracce di Aksel Sandemose, scrittore dano-norvegese passato alla storia oltre che per aver descritto alla perfezione il principio di ogni male della società di cui abbiamo il piacere di parlare oggi, anche per il carattere difficile al limite del misogino e per delle accuse di abusi sessuali mosse a suo carico dalla progenie.
Di seguito i dieci famigerati comandamenti nordici: * Non credere di essere speciale * Non credere di valere quanto noi * Non credere di essere più furbo di noi.
* Non immaginarti di essere migliore di noi * Non credere di saperne più di noi.
* Non credere di essere più importante di noi.
* Non credere che di essere capace di qualcosa.
* Non ridere di noi.
* Non credere che a qualcuno importi dite.
* Non credere di poterci insegnare qualcosa.
Ecco il modello di comportamento che all'interno delle loro comunità, critica e ritrae negativamente, come indegne e inappropriate, le realizzazioni individuali e il successo del singolo. Il modo di vivere ha contribuito a mantenere e tramandare questi principi di forzata umiltà anche alle nuove generazioni, non è raro oggi vedere la Jantelov in azione tra le news o social media come strumento per demolire la fama di connazionali reo confessi di aver ottenuto un po' troppo. Così come non lo è assistere alla vita di lusso di alcune influencer inframezzata da mea culpa live e continue giustificazioni. Che ansia. Il campanilismo rimane una caratteristica distintiva, e il loro senso d'identità nazionale radicalmente ricalibrato, ha creato una curiosa dualità meglio descritta come una sorta di "modesto orgoglio" anche se molti spesso lo scambiano per compiacimento. È fisiologico che ci siano aspetti negativi anche in società quasi perfette e neanche la loro tanto sponsorizzata sicurezza sociale, può essere data per scontata. È solo di qualche settimana fa infatti, la notizia di una sparatoria nel centro commerciale di Copenhagen. In quest' ultimo fatto di cronaca, l'assassino, un giovane danese, aveva tentato invano e a lungo di richiedere aiuto a strutture specializzate per il benessere mentale. Non è la prima volta, non sarà l'ultima. L'invecchiamento della popolazione, welfare state scricchiolante, integrazione continua delle popolazioni immigrate e crescente disuguaglianza, sono solo alcune delle sfide che i paesi nordici si trovano ad affrontare. Ma una gioia adeguata, profonda e duratura di solito richiede una notevole facilità di negazione, qualità che i nostri eroi hanno a pacchi. Aiuta, ovviamente, anche il fatto che la Danimarca sia essenzialmente una gigantesca classe media o, come vorrebbero far credere, sia effettivamente senza classi. L'élite comunque esiste e si sta radunando in enclavi residenziali quasi tutte a Copenaghen e dintorni, e sempre più cittadini che possono permetterselo, si rivolgono all'assistenza sanitaria privata e sebbene abbiano il più grande settore pubblico pro capite del mondo, i livelli di soddisfazione per il loro stato sociale sono in rapido declino.

 

 

 

IL DECLINO SOCIALE

Oltre il 20% della popolazione attiva tra i diciotto ed i sessantaquattro anni, non lavorano in alcun modo e sono sostenuti da generosi sussidi di disoccupazione o invalidità. Il New York Times ha definito la Danimarca «il miglior posto al mondo in cui essere licenziati», con ausili di disoccupazione fino al 90% dei salari precedenti per un massimo di due anni (fino alle recenti riforme, erano undici anni). I danesi chiamano il loro sistema flexicurity, un neologismo che unisce la flessibilità di cui godono le aziende danesi di licenziare persone con poco preavviso e poco compenso, con la sicurezza di cui gode il mercato del lavoro sapendo che ci sarà ampio sostegno in tempo di disoccupazione. Tutto questo si regge grazie all'abominevole sistema di tassazione che lo rende tra i Paesi più cari al mondo ed il luogo peggiore in Europa dove addirittura acquistare un auto. Forse è per sfogare un po' di rabbia repressa, che i danesi hanno un rapporto controverso con il benessere animale. L'industria della carne suina rappresenta circa un quinto di tutte le esportazioni mondiali, e oltre il 5% delle esportazioni totali del paese. Eppure puoi viaggiare in lungo e in largo e non vedere mai una sola scrofa, poichè tutte tenute nascoste alla vista, in orrendi capannoni per l'allevamento intensivo. Emblematico anche il caso dello zoo di Copenhagen che eutanizzò e dissezionò durante un evento (a sentir loro, educativo) in cui erano presenti anche dei bambini, una giraffa di soli due anni (Marius) per poi darla in pasto ai leoni. A nulla valse il tentativo di associazioni animaliste e altri zoo d'Europa di salvarla. L'evento piacque talmente, che fu riproposto in seguito con un leone maschio di appena un anno. Nonostante le polemiche, il direttore scientifico dello zoo fu in seguito eletto Copenhagener of the Year dai lettori di un famoso quotidiano danese. Empatia portami via. E alla sensibilità si deve probabilmente anche la reticenza a parlare di razzismo e la negazione di come questo sia un grosso ostacolo per le minoranze etniche. È all'ordine del giorno che cittadini stranieri vivano situazioni improprie, che si tratti di giovani rifiutati davanti alla porta di una discoteca, di un lavoro tolto a una donna altamente qualificata che indossa un velo, di studenti senza alloggio per via di una barba lunga o di pazienti che non vogliono ricevere cure da un medico di colore. Paradossalmente, i valori liberali sono usati come giustificazione per le rappresentazioni negative di quel che sono gli "altri". Se questa lettura vi ha depresso più di una favola di Hans Christian Andersen e state riconsiderando le vostre escursioni al Tivoli, non portate rancore alla sottoscritta. C'è chi prima di me, la pulce nell'orecchio l'aveva già: "C'è del marcio in Danimarca". (Marcellus - Hamlet, Atto I, scena IV). 

 

 

 

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