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Taiwan, "ecco cosa c'è dietro l'ira della Cina": la rivelazione di Terzi di Sant'Agata

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Giovanni Terzi
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«Non credo che in questo momento la Cina attacchi Taiwan. Penso piuttosto che sia un ammonimento, forse l'ultimo, a tutto l'Occidente. La Cina ha generato un vero e proprio casus belli per la visita della speaker Nancy Pelosi in Taiwan così che, alla prossima iniziativa di così alta visibilità americana in Taiwan, certamente qualche cosa accadrà. Possiamo dire che oggi siamo all'ultimo ammonimento dopodiché tutto potrà accadere». Chi parla è Giulio Terzi di Sant'Agata diplomatico italiano e già Ministro degli Esteri nel Governo Monti. Terzi lasciò l'incarico di Ministro dopo soltanto un anno e mezzo in dissenso con il presidente del Consiglio Mario Monti su come gestire, diplomaticamente, il caso dei due fucilieri Latorre e Girone.

Qual è stato l'obiettivo di Nancy Pelosi?
«Innanzitutto affermare il sostegno americano alla democrazia taiwanese visto che, per ora, è debole la posizione sia dell'Europa che dell'America verso Hong Kong. Non dimentichiamoci che lo Stato di Taiwan produce circa il sessanta per cento dei microchip mondiali ed è un Paese fondamentale nella economia internazionale. Taiwan è anche strategico per la libertà di navigazione nei mari del Pacifico verso Giappone e altri Paesi che si affacciano sui mari della Cina, il controllo di quella porzione di Oceano da parte della democrazia di Taipei, potrebbe chiudere un accesso importante nella navigazione. Ma Taiwan è anche una democrazia fondamentale per tutto il mondo occidentale e non soltanto sul punto dei diritti umani e di libertà affermata in tutta Europa».

Per cos'altro è importante Taiwan, ambasciatore Terzi?
«È fondamentale nell'informazione. Ricordiamo che è stato grazie a Taiwan che si è scoperta l'esistenza del Covid 19 in Cina. Il partito Comunista cinese non aveva interesse a rendere pubblica la pandemia in Cina perché questa avrebbe significato una pessima propaganda del regime di Xi Jinping.
Anche per questo motivo la Cina si è sempre opposta alla presenza di Taiwan all'interno della Organizzazione Mondiale della Sanità».

Che valenza ha avuto la missione di Nancy Pelosi?
«La sua visione di fondo è fortemente impregnata dei principi di libertà e difesa dei diritti umani che sono nel dna degli Stati Uniti e di tutto il mondo occidentale evoluto. La speaker Pelosi non ha mai fatto sconti su questa linea in nessuna occasione anche quando c'è stata "freddezza" alla Casa Bianca. La Pelosi non ha voluto arretrare, nemmeno di fronte ad una criticità interna, nel voler portare avanti la sua battaglia per difendere la democrazia a Taipei in crisi per l'ingerenza della Cina».

A proposito delle criticità interne agli Stati Uniti lei parla della posizione del presidente Biden?
«Con Biden c'è stata inizialmente una opposizione reale e che non è stata un gioco delle parti. Infatti si è creato un contrasto di fondo tra Biden e la Pelosi ma negli Usa le prerogative tra esecutivo e parlamento sono profondamente diverse: basta ricordare, a titolo di esempio, la posizione differente, durante la prima guerra mondiale, che ebbe il presidente degli Stati Uniti Wilson ed il Congresso».

In questa situazione, come si inserisce l'Italia nei rapporti con la Cina?
«Diciamo che firmare la "Belt and Road Initiative" da parte dell'ex presidente del consiglio Giuseppe Conte nel marzo del 2019 non è stata è una grandissima idea. La nuova "via della seta" è un programma molto discusso con cui la Cina sta investendo enormi capitali per costruire infrastrutture in decine di paesi, specialmente in Africa e nasconde la volontà di colonizzare attraverso un nuovo ordine mondiale con "caratteristiche cinesi" un progetto strategico che guarda ai prossimi cinquant' anni e non ai prossimi cinque. Tutto questo è capace di mettere in sicurezza gli interessi cinesi in ogni angolo del globo e contrastare l'egemonia dell'altra potenza: quella americana».

Ad oggi questo progetto di egemonia ha trovato interlocutori interessanti dalla Polonia all'Ungheria, a Portogallo e Grecia. E l'Italia, in questo contesto?
«Per la Cina quella firma italiana è un salto di qualità perché è stato il primo governo di un Paese del G7 a firmare il memorandum sulla BRI».

Lei conosce Nancy Pelosi?
«Ho conosciuto la speaker Pelosi nel periodo della mia permanenza a Washington come ambasciatore italiano negli Stati Uniti. L'ho incontrata molte volte finanche il 4 luglio a Roma. Ho sempre constatato che si tratta di una figura di grande importanza in America per esempio nel suo ruolo durante la riforma sanitaria di Obama».

Esiste un legame tra Cina e Russia nella geopolitica internazionale?
«Altro elemento altrettanto critico è proprio il rapporto tra Putin e Xi Jinping che stanno cercando di costruire un ordine mondiale ribaltato usando la forza e la violenza. Tutto questo è stato sancito in quello che viene chiamato "Patto Olimpico": un documento firmato dai due leader durante le Olimpiadi invernali di Pechino quest'anno e dove XI Jinping ha dato pieno e irrevocabile sostegno a Putin con l'obiettivo di ricreare l'unione sovietica».

Quali possono essere gli obiettivi di Russia e Cina?
«Annullare ogni forma di democrazia e libertà a partire dai diritti umani per concludere con il rispetto della proprietà intellettuale o la parità di trattamento sul mercato cinese fra aziende. Se tutto ciò accadesse l'Italia diventerebbe luogo di conquista, una sorta di far west per Russia e Cina».

E l'Europa, ora, che ruolo dovrebbe giocare?
«Un ruolo fondamentale anche perché, in primo luogo, i valori fondativi dell'Unione Europea impongono di garantire i diritti umani».

Siamo in campagna elettorale: come si dovrebbe comportare l'Italia in politica estera?
«Innanzitutto il nostro paese deve sforzarsi di giocare un ruolo di unità attorno ai valori fondanti dell'Unione promuovendo l'adesione sia dei Paesi dei Balcani occidentali, con i quali sono già in corso negoziati, sia dei paesi dell'Europa orientale già parte dell'Urss. Nello stesso tempo sarebbe decisivo convocare una convenzione e una "Conferenza intergovernativa" per procedere a un cambiamento profondo dell'Unione Europea, attraverso la modifica dei Trattati, da un lato, e una cooperazione rafforzata o un nuovo Trattato costituente, dall'altro. In ultimo sarebbe essenziale e sostanziale rivedere le procedure di voto rivedendo anche il principio di unanimità per le politiche più rilevanti ai fini della coesione tra i paesi dell'Unione e della credibilità dell'Europa nel mondo».

Lei ritiene sia possibile tutto questo?
«Come ha affermato l'ambasciatore Roberto Nigido i Paesi desiderosi di partecipare a una integrazione più avanzata potrebbero istituire allora tra di loro una "cooperazione rafforzata" retta da regole specifiche (è sostanzialmente il caso dell'euro) per la politica estera e di sicurezza e per la fiscalità, nelle quali la regola è l'unanimità; e eventualmente anche per altre materie che possono essere decise a maggioranza ma che continuano a essere frenate da un gruppo di Paesi costituenti una "minoranza di bocco". Il punto cruciale tuttavia è: quanti e quali Stati europei che contano ai fini di creare la necessaria massa critica intendono muovere insieme verso una Europa politica con un orizzonte federale? Nella attuale- e storica- contingenza, è una verifica da fare con urgenza». 

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