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Il nuovo battaglione Azov si ispira agli Arditi

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Alberto Palladino Filippo Castaldini
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Un teschio con il pugnale tra i denti, il simbolo divenuto celebre con gli Arditi durante la Prima Guerra mondiale (e successivamente con il fascismo). È questa la prima immagine che incontriamo nella base militare delle reclute del Battaglione Revanche. È il loro stemma. Non siamo sul Carso nel 1917, siamo a Kiev, oggi. In una ex palestra incontriamo i volontari del "battaglione vendetta". Si ispirano direttamente agli arditi assaltatori della prima guerra mondiale e alle legioni dannunziane e quando glielo si domanda annuiscono con orgoglio. «Come gli arditi italiani, combatteremo fino all'ultimo uomo». Sono tutti giovanissimi, tra i diciotto e i trent' anni, vengono dagli oblast appena liberati o sono studenti della capitale. Tra loro ci sono ultras e ragazzi laureati. Quello con il dottorato in scienze politiche oggi comanda il plotone dei mortaisti. «Siate pronti a difendere la vostra terra», ci dice Dovzhenko indossando un passamontagna. «Sono qui a combattere per ciò in cui credo, per la mia religione, per la Patria e per l'Europa. È la mia casa e la devo proteggere dall'orda russa». Che, se dovesse vincere, distruggerebbe «la cultura occidentale». Lui è stato a Irpin e Gostomel e quando ricorda quanto ha visto la voce si spegne in un lungo silenzio. «C'erano molti civili morti, troppi». Si è arruolato con i volontari al secondo mese di guerra, tornando dalla Polonia, dove ha lasciato a metà il corso di politologia all'Università di Cracovia.
 

 

 

RELIGIONE E TORTURE Qui nella base, tenuta in località segreta, foto e video devono passare dal suo stretto controllo per evitare di rivelare luoghi o volti, soprattutto, dei soldati che provengono dall'est. «Temono rappresaglie sulle famiglie che sono lì». Nel pomeriggio tiene un corso di storia europea ai volontari, poi arrivano gli istruttori e si comincia a fare sul serio. Nella base, sveglia presto, adunata, alzabandiera e poi subito le prove fisiche all'aperto, fucile in spalla, sempre. Per la tattica c'è un veterano del Donbass. Non rilascia interviste né si fa fotografare ma ci fa vedere come smonta e rimonta un AK74 in pochi secondi. Dopo il corso base le reclute raggiungeranno località predefinite per gli stage di specializzazione, artiglieria, sminamento e armi anticarro, con i famosi Javelin che per i volontari ucraini sono diventati una sorta di feticcio tanto da immortalarcisi addirittura nei selfie. Incontriamo due volontari di vent' anni, sono da poco rientrati dal fronte. "Kuzma" fa il mitragliere, ha gli occhiali ma le spalle larghe. «Al fronte ho incontrato gente che non la pensava come me, eravamo lì insieme contro il nemico». «I Russi dicono di combattere per Cristo o per gli Slavi, ma quando vincono una battaglia alzano la bandiera rossa. I nostri prigionieri vengono torturati». Per "Smurf", l'artigliere, «l'esercito russo è sovrastimato, stanno usando mappe del 1984. Parlano di efficienza a Mosca ma tanti di loro sono allo sbando». Molti analisti militari hanno notato senza troppa difficoltà che la guerra lampo di Putin contro i nazisti si è più volte impantanata in ritardi logistici e imboscate tese da truppe irregolari. «A volte si ha l'impressione che i russi non stiano combattendo contro un nemico specifico, ma contro la paura di rendersi conto della propria debolezza. La discrepanza tra la realtà e le illusioni in cui vogliono vivere sta diventando più chiara».
 

 

IL MITO DELLA BERETTA Parla di "abisso" Bohdan Khodakovski, il comandante. Una lunga militanza nel partito conservatore ucraino, la croce ortodossa al collo e una pistola semi-automatica Fort-12 nella cintura. Il governo le ha date alla guardia nazionale e alla polizia per sostituire le vecchie Makarov sovietiche. «Non sarà un Beretta», ci dice, «ma almeno questa è made in Ucraina». Ci mostra anche altro, una fornitura di Klashnikov con matricole speciali. Sono armi fantasma, «servono per la guerriglia». O la guerra civile. In tutta l'Ucraina si ha la sensazione che finito il conflitto quel fiume di armi non tornerà nei depositi ministeriali. Persino il prete che segue il battaglione ha dovuto superare l'addestramento base. Benedice i ragazzi che partono per il fronte e riguardo all'Europa non ha dubbi; «È la culla della civiltà, dove sono sorte le cattedrali, le università, oggi però l'ideologia modernista l'ha resa debole. Noi per l'Europa sogniamo una nuova crociata»

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