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Gorbaciov? Ecco cosa diceva di Vladimir Putin: quello che la sinistra censura

Renato Farina
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Gorbaciov all'inizio degli anni '90 Adesso che giace esposto nella bara aperta all'uso russo, Mikhail Gorbaciov è tornato famoso. Troppo tardi, viene da dire: non per lui, che non se ne fa più niente, ma per noi. Osservando la sua parabola esistenziale, salta su dalla storia una gigantesca pietra d'inciampo, che benevolmente possiamo chiamare paradosso, ma somiglia all'ipocrisia. È stato divinizzato dalle élite atlantiche quando fece loro l'occhiolino umanitario e pacifista pur di salvare il salvabile del comunismo. È stato dimenticato, e trattato con sussiego, quando ha cominciato a dire la verità, e che cioè se gli Usa e l'Unione europea avessero insistito a trattare Mosca come un Paese di "seconda fila" sarebbe tornata la guerra fredda o peggio. Perfetto. Lo gridò ai quattro venti, anzi continenti, quando nel 2019 tutti lo cercarono per commemorare il trentennale della caduta del Muro di Berlino. Nessuno lo prese sul serio. Ciao, vecchio perdente... Memoria, please. L'Occidente lo onorò con un titolo da principe rinascimentale, "Gorby il Magnifico", quando da capo del comunismo sovietico, eletto dal Politburo all'unanimità, si presentò al mondo come un compagno sì ma tutto speciale, un homo sovieticus amante della pace e della libertà. In realtà aveva avuto l'incarico di una mission impossible dalla suprema gerarchia bolscevica, disperata erede delle rovine economiche e morali lasciatele da Breznev e dai modesti suoi successori Andropov e Cernenko. Se c'era uno che poteva riuscirci era lui, Michele, con questo nome da Arcangelo con la spada, gli alti papaveri dai petali di rosso stinto gli dettero il mandato ampio di inventarsi un "nuovo pensiero", una versione riverniciata del socialismo pur di salvare il salvabile del regime, e conservarlo nelle mani sicure del Pcus. Chiedendo e ottenendo una specie di voto di scambio con l'America e l'Occidente. Un patto proposto dal Cremlino che traduciamo in italiano volgare: noi smettiamo di competere con voi, dal punto di vista militare e strategico, insomma non vi rompiamo più le scatole, voi di Washington e della Nato lasciate ai neocomunisti con il colbacco le redini del potere, lasciate sopravvivere l'Urss, senza strozzarla. La mossa era cinica e intelligente. L'Unione Sovietica era tecnicamente fallita, incapace di rispondere alla sfida militare lanciata da Ronald Reagan. Aveva perso. Il gigante si rivelava essere un feroce fantoccio che si reggeva sui piedi d'argilla di un'economia da fame nera, altro che superpotenza.

 

 

 

LA POLTRONA

Dichiarare il disastro però avrebbe significato consegnare la nomenklatura al linciaggio di un popolo ingannato per 70 anni. Il "nuovo pensiero" aveva un lato esterno e uno interno. In politica internazionale: una dottrina buona per i gonzi che pone «gli interessi comuni dell'umanità» al di sopra della lotta tra capitalismo e socialismo. In politica interna: glasnost, cioè trasparenza dall'alto verso il basso + perestrojka, vale a dire ricostruzione economica, sociale, morale del Paese... Risultati? Ha cambiato il mondo, ma non proprio come lui sperava. Era convinto che alla fine lui avrebbe dato umanità al socialismo e salvato così l'Urss. Non era un falsario, questi concetti li esprimeva con franchezza in lunghissimi e monocordi discorsi, ma la storia gli è sfuggita clamorosamente di mano. Era un buon tattico, una tartaruga politica, ma la sua strategia era una gabbia irrealistica, che i popoli hanno sfondato, dirigendosi dove loro garbava e non nella direzione che quest' uomo aveva prefissato. Gorbaciov era stato il pupillo di Andropov, già capo del Kgb, e credeva di aver appreso l'arte di tenere a bada masse e individui, instradando tutti su un binario obbligato. Successe che il treno lo tirò sotto. I russi conobbero finalmente la verità sull'orrore dei Gulag, una notizia che fino ad allora non era arrivata alla gente comune. E questo è un merito (involontario) che nessuno potrà togliergli. Ma non è stato bravo a governare il cambiamento che aveva innescato, il fervore entusiasta dei potenti d'Occidente, lo aveva distratto, o forse reso cieco, fatto sta che non si è accorto di come, sotto il suo naso, non si era umanizzato il socialismo, ma il "mercato", anzi- direbbe Giulio Tremonti - il "mercatismo" guidato dai furbetti del Pcus aveva imposto le sue regole rendendo i poveri e sfruttati ancora più poveri e sfruttati.

 

 

 

IL NOBEL E LA CADUTA

A Roma seguii nel dicembre del 1989 il suo incontro con Giovanni Paolo ll, e la successiva conferenza stampa a Milano. L'Europa dall'Atlantico agli Urali, la casa comune europea, l'Europa che deve respirare con due polmoni. È paradossale, ma il crollo di quell'atroce barriera berlinese, che egli accettò pur essendo impreparato all'evento, gli garantì il Nobel per la pace ma fu l'inizio della sua caduta. Me ne resi conto alla fine del '90, quando percorsi in ferrovia l'immenso Paese: uno Stato travolto dal caos. Quando da noi era trattato da eroe, nell'infinita Urss era già un uomo profondamente detestato, a Mosca e tra i russi, ma soprattutto nelle repubbliche e tra i popoli che non accettavano più di essere parte dell'impero comunista. Questa è stata la miopia di Mikhail Gorbaciov, figlio di un contadino del Caucaso e che a 20 anni credeva già di essere un predestinato a guidare la slitta rossa, ma senza frustare i cavalli, convinto che li avrebbe tenuti in riga. Balle. Non capì che lasciare uno spiraglio alla libertà, sollevando un pochino il coperchio della tirannide, alla fine avrebbe ridotto in briciole il conglomerato comunista. Gorbaciov oggi risulta uno sconfitto della storia, senza gloria in patria, in Occidente è visto come un dilettante incapace di governare i demoni del popolo russo, quasi fosse facile. Un giudizio onesto ma sciocco. Negli anni si era liberato dalla scimmia del marx/leninismo e cercava di impedire che si inceppasse il dialogo tra Russia ed Europa. Sosteneva: «Non dimenticate che la Russia è europea». Capiva che questa dimenticanza era contro natura e perciò seme di guerra. Senza potere Gorbaciov ci vedeva meglio. Ma i suoi moniti sono stati trattati come il biascicare di un profeta fallito. Nel 2019 rilasciò per iscritto non si fidava più - un'intervista a Le Figaro. Vedeva lontano anzi vicino: «Sotto Putin, la Russia ha fatto una chiara scelta di politica estera: siamo a favore di un mondo multipolare. Putin riconosce il ruolo dell'Occidente nella politica e nell'economia mondiale ed è pronto a collaborare. Spero non dimentichiate i passi che ha fatto verso l'Occidente, verso gli Stati Uniti. Ma questi passi non sono stati accolti come meritavano. Come negli anni '90, la sindrome del vincitore ha impedito all'Occidente di rispondere con saggezza. Va considerato tutto questo quando si valutano le azioni del nostro Paese. La Russia non accetterà un ruolo secondario negli affari mondiali».

 

 

 

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