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Generale Jean, il punto: "Quello che Zelensky deve cedere"

Maurizio Stefanini
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La ritirata russa da Kherson: ne parliamo con Carlo Jean. Uno dei più noti esperti militari italiani, dal settembre del 1990 al maggio del 1992 è stato Consigliere Militare del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. È stato anche Generale di Corpo d'Armata, Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, Rappresentante Personale del Presidente della Osce per l'attuazione degli accordi di Dayton nella ex-Jugoslavia, segretario del Comitato dei Ministri per il terremoto dell'Irpinia, coordinatore della Commissione per la verifica degli Investimenti Pubblici...

 

 

 

I russi si ritirano da Kherson: è la svolta risolutiva della guerra?
«È un evento che fa parte delle operazioni belliche. Ha sicuramente un importante significato simbolico, è sicuramente un insuccesso da parte dei russi, ma non credo che possa influire più di tanto sul risultato del conflitto».

Un risultato che però a questo punto quale potrebbe essere?
«Il conflitto continuerà su un percorso di logoramento fino al momento in cui forse troveranno un accomodamento sulla base delle proposte che a suo tempo aveva formulato l'Ucraina. Congelare la situazione in Crimea, congelare la situazione nelle due repubbliche secessioniste, e per il resto più o meno il ritorno sulle posizioni del 22 febbraio. E poi un negoziato che deve riguardare i danni di guerra, il problema dei prigionieri di guerra che comunque sta venendo già risolto a poco a poco con scambi, il problema dei crimini di guerra, e molto verosimilmente chi farà da mediatore per la fine del conflitto non potranno che essere gli Stati Uniti e la Cina. Che dovranno essere anche un po' i garanti di quella che è la futura sicurezza ucraina».

Ma gli ucraini dopo questa e altre vittorie sarebbero disposti a rinunciare alla Crimea?
«Mi sa tanto che gli ucraini alla Crimea devono rinunciare. Ma deve essere il risultato del negoziato, non la pre-condizione. Un negoziato in cui decideranno anche lo status delle repubbliche secessioniste. Per esempio come era stato proposto a suo tempo, aspettare una decina o una quindicina di anni, e poi fare un referendum con controlli internazionali, dopo che saranno tornati tutti gli abitanti nelle zone. Perché adesso nel Donbass gran parte degli ucraini sono scappati verso ovest, un certo numero di filo-russi sono scappati verso est, per cui la composizione della popolazione non corrisponde alla popolazione esistente nella zona. Bisogna dunque ripristinare una certa giustizia anche come premessa per questi referendum».

 

 

 

Dovrà essere tutto deciso in negoziato...

«La premessa del negoziato può essere solo relativa a questioni territoriali.Cioè, per i russi non c'è alternativa che si ritirino sulle posizioni del 21 febbraio. Soprattutto dato anche il risultato delle elezioni americane di medio termine, in cui la questione ucraina ha avuto una importanza abbastanza relativa, però una certa importanza la ha avuta, e anche lì sono stati eletti i repubblicani più favorevoli alla continuazione del sostegno all'Ucraina. D'altra parte i russi stanno esaurendo le loro risorse, sia di personale che di materiale più sofisticato. E per quanto riguarda il personale si è vista la fuga dei richiamati che ha comportato e sicuramente comporterà ancora un impatto politico sul Cremlino».

Putin può sopravvivere politicamente a questa batosta?

«Il problema è che non è che ci sia molta alternativa, anche perché i militari russi, che sarebbero gli unici che potrebbero fare un colpo di Stato e prendere il potere, non hanno grandi tradizioni di colpi di Stato militare. Sono di solito molto ligi all'autorità centrale. Soprattutto dovrebbero affrontare una situazione veramente pesante, perché certamente per tutta la durata dei negoziati continuerebbero le sanzioni e continuerà l'emarginazione dalla società internazionale».

E comunque anche gli alti comandi militari sono coinvolti nella batosta...

«I vertici militari stanno già subendo critiche, sostituzioni, umiliazioni e così via. Molto verosimilmente, sentiranno la responsabilità. Perché si è visto nella riunione del Consiglio di Sicurezza che si è visto alla televisione russa il 20 e 21 febbraio quando c'è stato il capo del servizio di intelligence esterno che si era opposto a Putin che sicuramente non si era opposto per idee sue particolari, ma perché rappresentava un filone di pensiero che era opposto e contrario alle ambizioni di Putin che erano eccessive per i mezzi disponibili, come poi rilevato sul terreno». 

 

 

 

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