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Viktor Orban, la verità indicibile: chi ha preso soldi per farlo fuori

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Andrea Morigi
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L'Unione Europea taglia i fondi alle istituzioni dell'Ungheria, ma in compenso le ong statunitensi sono generose con l'opposizione al governo di Viktor Orbán. Si tratta, secondo la rivista online Remix, di una relazione ufficiale dei servizi segreti magiari, desecretata in seguito a una richiesta di accesso agli atti amministrativi, nella quale si cita un presunto finanziamento dell'ammontare di circa 4,4 milioni di euro da parte di Action For Democracy, una Ong statunitense vicina al Partito Democratico, a favore di MMM, sigla che sta per Un'Ungheria per tutti, il partito fondato da Péter Márki-Zay, che si sommerebbero a 2,8 milioni di euro versati la scorsa primavera e la scorsa estate a «tre società ungheresi» non meglio identificate. Due belle sommette, anche se si sono rivelate inutili ai fini del risultato elettorale, che il 3 aprile scorso ha decretato la vittoria di Fidesz, il partito di governo guidato da Orbán, con il 52,67% dei consensi. 

 


IL BOOMERANG
Per gli avversari, l'aiutino straniero si è tradotto perfino in un boomerang se, come ammette lo stesso leader di MMM e candidato ufficiale della coalizione multipartitica Uniti per l'Ungheria, «non sono stato io a decidere i temi quotidiani della campagna, ma gli esperti ungheresi e americani della campagna che ne hanno già condotte molte altre», dopo aver dichiarato pubblicamente in un podcast di aver ottenuto qualche centinaio di migliaia di fiorini ungheresi in contributi internazionali. In pratica a Washington, visto che sono loro a pagare, pretendono anche di mettere il naso nella formazione delle liste dei candidati e di avere potere decisionale nella scrittura dei programmi.

 


Un'ingerenza di non poco conto, considerato che le leggi vigenti a Budapest, ma anche le direttive dell'Unione europea considerano illecito il finanziamento di partiti politici dall'estero, come ha sottolineato il generale Zoltán András Kovács, direttore generale del Centro nazionale di informazione (NIK) magiaro, in una risposta scritta a Zoltán Sas, presidente della commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento, l'equivalente del nostro Copasir. Da notare che Sas è un esponente degli estremisti di destra di Jobbik, alleati alle scorse elezioni con MMM e altri partiti di sinistra. Per Máté Kocsis, capogruppo di Fidesz, partito di maggioranza al Parlamento di Budapest, le rivelazioni dell'intelligence sono gravissime innanzitutto perché indicano una violazione della sovranità nazionale ungherese per motivi ancora da chiarire, ma potenzialmente rilevanti dal punto di vista della sicurezza interna ed esterna del Paese, visto che la sinistra ha tentato fino al giorno del voto di negare l'esistenza dei finanziamenti «la cui entità è di circa il quadruplo rispetto a quanto è consentito ricevere da donatori nazionali» e, in seguito, hanno smentito i loro rapporti con entità straniere.

 

Si attendono comunque ulteriori sviluppi anche giudiziari della vicenda, visto che proseguono le indagini dell'autorità nazionale fiscale e doganale per l'ipotesi di frode finanziaria, mentre l'ufficio investigativo nazionale della polizia ungherese procede parallelamente per i reati di appropriazione indebita e riciclaggio di denaro. Per questo, soltanto alcune parti del materiale contenuto nel rapporto sono state desecretate. Il Nik sta anche ricostruendo come i destinatari ungheresi abbiano speso il denaro ricevuto dall'estero.
 

L'ITALIA NEL MIRINO
Le attività internazionali del gruppo americano comprendono inoltre «cinque campi di battaglia», scelti in base alla convinzione che «la democrazia sia più minacciata» in Italia, Brasile, Ungheria, Polonia e Turchia. Per quanto riguarda l'Italia, il loro sito web Fundraising Progressive Acts indica una collaborazione già sperimentata con diversi esponenti politici italiani, a partire dal governatore dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, passando per la sua rivale al primo turno delle elezioni regionali 2020 Elly Schlein, con sponsorizzazioni avvenute anche per Damiano Tommasi, attuale sindaco di Verona e Matteo Lepore, primo cittadino di Bologna in carica. Alla richiesta di ottenere maggiori dettagli su eventuali loro finanziamenti passati, in corso o previsti nel futuro, Action for Democracy, contattata via mail da Libero, non fornisce alcuna risposta. Se l'interazione con Bonaccini e Schlein continuasse, anche la corsa alla segreteria nazionale del Pd, dove i due sono ancora una volta l'un contro l'altra candidati, si troverebbe a essere eterodiretta da un'entità misteriosa e controllata da Oltreoceano per fini non trasparenti. Non rimane che proporre loro un progetto, magari in vista delle prossime elezioni, per verificare se davvero il gruppo «aiuta organizzazioni e iniziative civiche a trovare supporto dalla cittadinanza per apportare cambiamenti significativi, accelerati e a lungo termine alla società», per «plasmare un'Italia migliore». Cioè come piace ai progressisti americani. Oppure andare più a fondo per far luce sulla natura degli interessi Usa anche in Italia. 

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