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Cina, l'accusa di Procaccini: "Ci avvelena e incassa"

Mirko Molteni
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Il disastro di Ischia dimostra quanto il clima sia diventato imprevedibile in tutto il globo, non solo nei Paesi poveri. Ciò rivela la beffa della recente conferenza sul clima Cop27, tenutasi in Egitto, a Sharm El Sheikh, e chiusasi con un accordo "loss and damage" per cui i Paesi più sviluppati, che peraltro più hanno progredito nel risparmio energetico, nel riciclo e nelle fonti alternative, dovrebbero pagare miliardi di dollari a quelli in via di sviluppo, fra cui si mimetizza la Cina. L'ipocrisia è ben rilevata dall'europarlamentare, nonché responsabile del Dipartimento Ambiente ed Energia di Fratelli d'Italia, Nicola Procaccini.

 

 

 

Onorevole, qualcuno ha incolpato l'attuale governo, in carica da un mese, per disastri come quello di Ischia, ma da quanto tempo si parla in Italia di rischi idrogeologici?
«È ridicolo, nel nostro Paese il dissesto è di lunga data. Ci sono alla base due questioni. Da un lato è mancata una pianificazione urbanistica, specie in alcune zone della penisola, che impedisse di edificare in aree pericolose. Dall'altro lato, il cambiamento climatico ha via via portato a precipitazioni concentrate e violente. A mesi di siccità seguono ormai piogge torrenziali, tali per cui l'acqua scava il terreno».

Come può rimediare la politica a frane e inondazioni?
«Porteremo avanti in Parlamento l'idea di istituire una nuova "commissione De Marchi", che studi i dissesti del territorio per trarne un piano d'azione. Bisogna riprendere il lavoro fatto oltre 50 anni fa da un'illustre commissione di esperti istituita nel 1967, un anno dopo l'alluvione di Firenze, e guidata per l'appuntodall'ingegner Giulio De Marchi. Con una nuova commissione di esperti potremo monitorare il pericolo e concentrare gli interventi nelle aree più critiche. Ma l'Italia si deve anche abituare, come mentalità, a una manutenzione continua dei canali già esistenti, che vanno regolarmente puliti. Meglio spendere poco ma costantemente nel tempo, che ritrovarsi spese enormi all'improvviso, rincorrendo le emergenze».

Cosa significa il controverso accordo della Cop27?
«È assurdo. Prevede che i Paesi ricchi, che inquinano meno, debbano elargire soldi a Paesi più poveri senza che tali fondi vadano davvero a rendere più ecologiche le loro economie. Per giunta, fra i Paesi beneficiari rientrerebbe anche la Cina, maggior emettitore d'anidride carbonica al mondo. Si pensi che l'Italia emette lo 0,5% della CO2 mondiale da attività umane, mentre la sola Cina ben il 33%. L'Italia, che inquina 1/66 della Cina, dovrebbe, con gli altri Paesi occidentali, versarle risarcimenti secondo il principio del "loss and damage"!».

Ma serve davvero a combattere l'inquinamento?
«No, perché è un principio di mero risarcimento dell'Occidente ai Paesi in via di sviluppo. Si parte dal presupposto ideologico di una presunta "colpa" dei Paesi più sviluppati che a partire dal 1850 hanno dato inizio alla rivoluzione industriale. È la solita autocolpevolizzazione dei Paesi occidentali, che ha spinto l'Unione Europea, e in particolare il vicepresidente della Commissione Europea, l'olandese Frans Timmermans, a trascinare perfino gli Stati Uniti, solitamente più pragmatici, all'accettazione del "loss and damage". Timmermans stesso ha però ammesso che la Cop27 è stata un mezzo fallimento, perché non è stato ancora stabilito l'elenco preciso dei Paesi donatori e di quelli che riceveranno i fondi, ma soprattutto perché, ed è l'aspetto più grave, l'elargizione dei fondi non richiederà ai Paesi beneficiari il preciso impegno a diminuire l'inquinamento. Considerato che si è ridotto tutto a un punire l'Occidente, senza veri rimedi per salvare il clima, posso dire che la Cop27 non è stata un mezzo fallimento, come dice Timmermans, bensì un fallimento integrale!».

 

 

 

Insomma, li paghiamo e quelli sono liberi di inquinare più di noi?
«Esatto, l'Unione Europea, che pesa per un modesto 7% delle emissioni globali, dovrebbe pagare, fra glialtri Paesi, anche la Cina (33%!), che continua a farsi passare per Paese in via di sviluppo e non per la maggiore nazione industriale per volumi d'inquinamento. Pagheremo senza che i fondi siano legati a investimenti per tecnologie "green". Noi paghiamo e loro inquinano quanto vogliono. E non solo: le economie europee, e quindi le nostre aziende, subiranno il peso di queste donazioni, oltre ai vincoli ambientali, mentre le industrie cinesi o indiane saranno favorite nella competizione. Per fare un esempio, guardando alle recenti alluvioni in Pakistan, dovute, secondo alcuni, al cambiamento climatico causato dall'uomo, i soldi europei, americani, giapponesi o australiani andrebbero a rifondere danni di tipo idrogeologico, ma senza impegnare il Pakistan a rinnovarsi».

Se la Cop27 è stata più fumo che arrosto, cosa si nasconde dietro il fumo?
«Sono solo questioni politiche. C'è il blocco dei Paesi in via di sviluppo, il G77, che comprende in maggioranza Stati con governi di sinistra o regimi autoritari e che è guidato dalla Cina, che è riuscita a tirare i fili da lontano, come un burattinaio, essendosi tenuta fuori dal vertice di Sharm El Sheikh, come anche Russia e India. Inoltre, abbiamo visto la Cop27 svolgersi in un Paese, l'Egitto, che non è campione né di diritti umani, né di ecologia, peraltro vietando manifestazioni ambientaliste. E la prossima edizione, la Cop28 del 2023, è prevista a Dubai, in un Paese come gli Emirati Arabi Uniti, la cui ricchezza è fondata sul petrolio! Queste conferenze stanno diventando iniziative che alcuni Stati ospitano solo per darsi visibilità, ma non servono davvero per l'ambiente».

In linea di massima, quanti soldi dovrebbero pagare le nazioni più ricche, come l'Italia, e in che tempi?

«Non si parla ancora di cifre. La determinazione dei parametri del "loss and damage" verrà fatta da un gruppo di lavoro che avrà circa un anno di tempo per portare i propri risultati alla Cop28. L'unico riferimento preciso è soltanto l'anno 1850 come punto di partenza per calcolare l'impatto delle emissioni umane sull'ambiente, calcando sul fatto che la rivoluzione industriale è nata in Europa e in Nordamerica. Sembra quasi che sia una colpa storica l'aver fatto progredire le proprie economie! Danno la colpa alla civiltà occidentale, per esempio, di aver inventato le automobili, ma poi le vogliono anche in Cina o in India!».

E pensare che la Cina produce già il 70% dei pannelli solari al mondo. Che bisogno avrebbe di fondi occidentali?

«Ma certo. Oltretutto la Cina si avvantaggia con una concorrenza sleale perché, non avendo assunto alcun impegno, può fabbricare i suoi pannelli solari utilizzando ancora come fonte energetica il carbone, con macchinari vecchi e inquinanti, oppure ricorrendo alla manodopera forzata dei Laogai, i corrispettivi cinesi dei Gulag sovietici, che ancora esistono. Tutto ciò abbattendo i costi di produzione, e così svantaggiando le fabbriche occidentali».

Sarà possibile dar battaglia in ambito Ue per far emergere i veri interessi delle nazioni europee, sventando questi piani?

«L'Italia, soprattutto col nuovo governo Meloni, può cercare di fare la sua parte, e la faremo, anche se nell'Europarlamento la maggioranza non appartiene al blocco conservatore, ma alle sinistre e ciò rende tutto più difficile». 

 

 

 

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