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Deportazione dei bimbi ucraini, quei pacifisti complici dell'orrore

Iuri Maria Prado
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Il collaborazionismo pacifista ha lavorato in due modi sulle notizie delle deportazioni e dei rapimenti dei bambini ucraini: censurandole, quando vi riusciva, oppure caricandole sul conto delle cose tanto brutte inevitabilmente prodotte da qualsiasi evento bellico. E questo continua a essere il sistema di certa informazione.

Ma in una simile temperie sostanzialmente negazionista non bisogna credere che il mandato di arresto spiccato nei confronti di Putin dalla Corte penale internazionale adempia necessariamente a ripristinare quella verità ora puramente e semplicemente censurata, ora vergognosamente sepolta dalla chiacchiera di quelli che allargano le braccia davanti alle brutture delle guerre tutte uguali, che si pongono in modo equanime a fronte delle colpe che non stanno da una sola parte, e che si disperano vedendo le ragioni della pace soverchiate dalle scelleratezze intercambiabili dei guerrafondai contrapposti.

 

 

Quei crimini non ci sarebbero stati, infatti, o in ogni caso chi li ha commessi non avrebbe potuto perpetrarli in relativa sicurezza, se il mondo che vi assisteva non avesse consentito, come invece ha fatto, che essi diventassero una componente inevitabile dell’aggressione, il dazio grave ma ineliminabile pagato alla propria coscienza dalle democrazie riluttanti a dare tutto l’aiuto che serviva. Che non era l’aiuto per trasformare in arcobaleno il blu e il giallo della bandiera ucraina, non era l’aiuto per far trionfare la pace sigillata nelle manifestazioni sindacali e nei cortei dell’onestà, non era l’aiuto per fare di Zelensky un progressista perbenino: era l’aiuto, appunto, che offre senza esitazioni e senza condizioni chi condanna quei crimini e fa tutto il possibile per arrestarne il corso senza attendere che un giudice gliene dia il permesso. Non si sa a quali condanne porterebbe questo processo che molto probabilmente non ci sarà. Si sa che, semmai si celebrasse, assolverebbe un esercito di complici. 

 

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