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Carlo Jean lancia l'allarme: "L'unità dell'Occidente è a rischio"

Mirko Molteni
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Accelera la frammentazione del mondo fra blocchi geopolitici di Paesi man mano che l’asse America del Nord-Europa Occidentale vede erosa la sua egemonia. Ne parliamo con il generale Carlo Jean, già comandante della Brigata Alpini Cadore ed esperto di geopolitica per l’Università LUISS di Roma.

Generale, a che punto siamo con il declino relativo del mondo atlantico?
«L’Occidente non possiede più, in percentuale, il potere che aveva 40 anni fa, in particolare per crescita economica e demografica, sebbene nel settore finanziario il dollaro e il sistema di Bretton Woods abbiano ancora la supremazia. Ma c’è concorrenza fra il sistema di pagamento internazionale americano Swift e quello cinese Cips. Per ora 12.000 banche si affidano a Swift e 3.000 a Cips. Comunque l’Occidente ha difficoltà anche perché ha rinunciato all’uso della forza. I paesi occidentali non si affidano a compagnie di mercenari come la compagnia russa Wagner e alcune compagnie al soldo dei cinesi, che assicurano capacità di penetrazione in Africa o America Latina. Ci sono inoltre gli effetti del disimpegno militare degli Stati Uniti in Medio Oriente e Mediterraneo, dopo che per anni è stata Washington a sobbarcarsi i costi della guerra al terrorismo. Lo abbiamo visto in Libia, Siria, Iraq, e nell’Afghanistan da cui i Paesi occidentali si sono ritirati nell’agosto 2021».

 

 

 

Dall’altra parte, vediamo il gruppo BRICS, le nazioni aggregate attorno a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Vanno davvero d’accordo fra loro?
«È vero, il gruppo BRICS è meno compatto dell’Occidente. Ci sono contrasti fra Cina e India, per il confine montano sull’Himalaya e specialmente per l’insinuarsi dei cinesi nell’Oceano Indiano. C’è tensione nel Golfo del Bengala e a causa dell’asse Pechino-Islamabad, dato il corridoio strategico che dall’entroterra della Cina sfocia nel porto pachistano di Gwadar, di fatto base cinese vicina all’India. Anche l’amicizia Russia-Cina è tesa. C’è il corridoio commerciale Russia-Iran, da San Pietroburgo al porto di Bandar Abbas, sul Golfo Persico, rivale della nuova Via della Seta in senso Nord-Sud, laddove la Belt and Road cinese si snoda invece in senso Est-Ovest».

L’Occidente ha margini di manovra con l’India?
«Sì, perché l’India tiene il piede in due scarpe. È in forte crescita e le previsioni parlano di un pil indiano che potrebbe aumentare quest’anno del 6 per cento, ma alcuni addirittura sostengono del 9,6 per cento. Il governo di Narendra Modi sta sviluppando le infrastrutture per aumentare la coesione del paese, notoriamente frammentato, con strade, ferrovie, aeroporti. L’India ha forti legami con Stati Uniti e Gran Bretagna, come testimonia la vicenda del premier britannico Rishi Sunak, per la presenza di folte comunità di emigrati indiani in quei Paesi. Ma poiché ha una grande esperienza nel campo della programmazione e del software, ritengo che la partita per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, anziché una sfida tra Usa e Cina, sia in realtà una sfida a tre fra Usa, Cina e India».

La crisi ucraina pare aver ricompattato Usa ed Europa dopo il fallimento afghano. Durerà?
«La priorità assegnata dagli Stati Uniti allo scacchiere indo-pacifico rischia di minare l’unità dell’Occidente, perché le due sponde dell’Atlantico si allontanano, in termini geopolitici. Il fenomeno potrebbe aggravarsi se alle prossime elezioni presidenziali statunitensi vincesse di nuovo Donald Trump, col suo motto dell’America First e dell’isolazionismo. Certo, questo G7 va nella direzione giusta con l’apertura a rapporti migliori con le nazioni di quello una volta si diceva Terzo Mondo».

Come popolazioni, Cina e India sommate valgono tre Occidenti. Quanto contano i numeri?
«Dal punto di vista demografico, bisogna anche vedere qual è la percentuale di giovani. Cina e India, fra 70 anni, alla fine del secolo, potrebbero avere una popolazione anche dimezzata per effetto del calo della natalità, e rimanere più popolose degli Stati Uniti in termini assoluti. Ma mentre le società cinese e indiana si prevede saranno molto invecchiate, con alta percentuale di anziani, la società americana, pur con meno abitanti in assoluto, potrebbe mantenere un’età mediana più giovane. Ciò perché tradizionalmente gli Usa sono meta d’immigrazione e attraggono il meglio del mondo».

 

 

 

Quanto conta la Cina nel gruppo G7 che pare incarnare il cosiddetto Sud globale?
«Nel gruppo G77 la dominanza cinese è dovuta al fatto che Pechino si sobbarca l’onere di sostenere molti Stati con i suoi prestiti, divenendone il creditore principe. Si crea così una trappola del debito che però non condiziona solo le nazioni satelliti della Cina, ma lo stesso colosso asiatico. L’impegno finanziario in questi paesi è rischioso perché l’economia cinese è in sofferenza per molte cause. Ci sono l’invecchiamento della popolazione, le conseguenze del Covid, le spese statali in continuo aumento per garantire servizi e sanità ai milioni di cinesi che migrano dalle campagne dell’entroterra alle enormi megalopoli costiere».

In Asia Centrale, i cinesi profittano della distrazione russa in Ucraina?
«Ritengo che quando il presidente cinese Xi Jinping ha promesso ai Paesi dell’Asia Centrale aiuto per mantenere stabilità e integrità territoriale, abbia messo in guardia la Russia. L’abbraccio Mosca-Pechino è fatale e i russi lo sanno. I cinesi si ricordano ancora dei vari trattati ineguali con cui la Russia si aggiudicò territori sui confini siberiani. Io stesso ricordo che, quando incontravo ufficiali russi ospiti del Board Nato-Russia, parlavano spesso del pericolo giallo».

 

 

 

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