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Emmanuel Macron, il galletto è finito: come può saltare nel 2024

 Emmanuel Macron  

Pietro Senaldi
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C’è un novello Napoleone mancato che sta assumendo sempre più le sembianze di un moderno monsieur pas de chance. I grandi vecchi d’Europa parlano di lui con un sorriso di rimpianto e scuotendo il capoccione. Per una serie di circostanze fortuite ha avuto tra le mani le carte vincenti ma quello sciovinismo da francese di provincia gli ha impedito di metterle a frutto. D’altronde, anche se si arriva a essere dei banchieri per la Rotschild, in Francia fa ancora la differenza nascere ad Amiens o a Paris. Sì, il soggetto in questione è Emmanuel Macron. In Europa si aspettavano molto da lui, ma le président ha deluso tutti, facendo una politica nazionalista ed egoista e ora che in patria il suo consenso è al minimo, nessuno è disposto a tendergli la mano da fuori. Quando la Gran Bretagna uscì dall’Unione e già la stella della Merkel si stava offuscando, dopo anni di guerra commerciale ingaggiata da Washington contro Berlino, Macron si trovò di colpo a guidare la sola nazione della Ue che fosse contemporaneamente una potenza nucleare e sedesse nel Consiglio di Sicurezza permanente delle Nazioni Unite. Se il presidente avesse allargato le braccia all’Europa, lavorando a un esercito comune e offrendo il seggio a Bruxelles, come molti gli avevano consigliato, sarebbe diventato il sovrano del Continente a lungo.

DOPPIO GIOCO
Le scelte furono opposte. Come abbiamo avuto modo di vedere in Italia sui fronte migranti, ma è solo uno dei tanti capitoli, la Francia ha sempre fatto l’europeista a parole ma la iper nazionalista nei fatti. Così è andata nella crisi ucraina, dove Parigi ha una posizione dissonante rispetto al fronte atlantista e ha cercato invano di mediare una pace con Putin senza che nessuno le riconoscesse autorevolezza interlocutoria. Così è andata anche nelle relazioni con la Cina, dove Macron si è recato in contemporanea a Ursula von der Leyen, in un viaggio d’affari concorrenziale con quello della commissaria che gli ha portato disapprovazione generale e pochi renminbi, la valuta corrente a Pechino. Male anche in Nord Africa, che il presidente considera ancora il cortile di casa della Francia ma dove l’Italia, con il suo nuovo piano Mattei, sta, Paese dopo Paese, sottraendo mercato a Parigi.

Peggio ancora al presidente va in patria. È vero che Macron ha davanti a sé ancora un lungo mandato, ma il suoi partito, Reinassance, rischia un bagno di sangue alle prossime Europee, nel 2024, malgrado di fatto non abbia avversari, a parte la destra della Le Pen e la sinistra trinariciuta di Mélanchon, al cui confronto perfino Fratoianni pare un moderato. La Francia infatti ribolle, il con senso presidenziale è ai minimi storici, oscilla tra il 26 e il 33% e la riforma delle pensioni, con l’allungamento della vita lavorativa di due anni attraverso un blitz che ha annullato la volontà parlamentare opposta, è solo uno dei motivi del malcontento popola re; anche perché nel merito Macron non ha tutti i torti e molti transalpini ne sono a malincuore consapevoli. Succede così che nel giro un inverno -primavera, il baricentro dell’Europa si sia spostato a sud-est rispetto a Parigi. Giovedì arriverà a Roma, per incontrare la Meloni, il leader tedesco, il socialista Olaf Scholz. Sono in contri istituzionali, calendarizzati, doverosi, ma quel che cambia è il clima. Melo ni e il tedesco sono su fronti opposti.

SCACCO A LE ROI
Giorgia ha un chiaro piano per mettere il partito del cancelliere all’opposizione a Bruxelles, proprio grazie ai popolari di Berlino, che sono tuttora divisi sull’opportunità dell’operazione. Non sarà facile, ma se dovesse riuscirle sarebbe una mossa ancora più clamorosa dell’ingresso di Forza Italia nel Ppe, ai tempi d’oro di Berlusconi. Allora fummo ammessi dopo lunga insistenza e solo grazie a un plebiscito elettorale, ma fummo fatti accomodare in panchina, con l’asse franco - tedesco a dettare legge. Oggi saremmo il motore dell’ingranaggio, seduti giusto al posto dei transalpini, vittime della politica basculante del loro presidente, velleitario nella visione strategica e pertanto inaffidabile nelle alleanze, indaffarato e proattivo quanto inconcludente e, alla fine, non all’altezza neppure della grandeur mignon della Francia di oggi

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