Cerca
Cerca
+

Germania, tedeschi che si fingono ebrei: cosa c'è dietro un boom assurdo

Daniel Mosseri
  • a
  • a
  • a

Una storica nata nella Ddr ma con studi anche a Lione e a New York; uno degli editorialisti di punta della Süddeutsche Zeitung ossia uno dei più autorevoli quotidiani circolanti in Germania; ma anche un anonimo ex insegnante, ritiratosi sull’isola di Fehmarn, a un tiro di schioppo dalla Danimarca. Tre persone che fra loro hanno poco o nulla in comune salvo aver tutte e tre fatto finta di essere ebrei. Motivi politici, voglia di attenzione, senso di colpa per il passato nazista: difficile stabilire quali di questi motivi abbia spinto il giornalista 33enne Fabrian Wolff, il pensionato 67enne Frank Borner o la storica Marie Sophie Hingst a fingersi esponenti del popolo d’Israele. Di certo il tratto narcisista non è mancato in alcuno di loro, che, anzi, hanno fatto della loro “appartenenza” al mondo ebraico più o meno una pubblica professione. L’ultimo in ordine cronologico è il pensionato Borner che, senza che nessuno glielo abbia chiesto, si è fatto promotore a Fehmarn dell’iniziativa “Meet a Jew” (“Incontra un ebreo”) promossa dal Consiglio centrale degli ebrei in Germania.

Il motto del progetto è “Parlare l’uno con l’altro invece che l’uno dell'altro”. Meet a Jew serve a organizzare incontri fra volontari ebrei giovani e adulti in scuole, università, club sportivi e altre istituzioni e Borner ne ha approfittato per rendersi interessante agli occhi degli isolani, politici locali inclusi, invitati ad ascoltare la storia, inventata di sana pianta, di suo nonno “medico in una grande città”, già simpatizzante di Hitler e contro la cui famiglia le persecuzioni sono iniziate solo nel 1938. Boiate senza capo né coda – ma anche senza nomi né cognomi «perché alcune di queste persone sono ancora vive», spiegava premuroso il pensionato – messe alla berlina dal giornalista (ebreo) della Welt Henryk Broder. Triste che nessun non ebreo presente ai suoi incontri avesse le minime conoscenze storiche per far crollare il castello di castronerie che il baffuto 67enne infarciva di stereotipi antisemiti. La sua famiglia, raccontava, era emigrata in America «a New York e Hollywood, due posti saldamente in mano agli ebrei».

 

 

 

CAMPAGNA DI BOICOTTAGGIO

Molto poco onorevole anche il caso del prestigioso quotidiano di Monaco. Oggi la Süddeutsche è impegnata a cancellare dalla propria memoria i tweet e gli articoli del giornalista “ebreo” Fabian Wolff. Finché lo stesso Wolff ha ammesso di aver mentito, i suoi editoriali contro Israele e a favore del Bds – il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro lo stato ebraico – erano l’orgoglio del più importante quotidiano progressista di Germania. Anni fa un deputato del Partito liberale (Fdp) ha promosso una mozione poi votata dal Bundestag con la quale le istituzioni della Germania si impegnavano a non finanziare il Bds, considerato una pratica discriminatoria evocativa del “Kauft nicht bei Juden!” (Non comprate dagli ebrei) di hitleriana memoria. Niente di più chic per la Süddeutsche che dare spazio a un ebreo che asseriva il contrario.

Più tragica, infine, la storia di Hingst: anche lei si macchiò del crimine di «appropriazione culturale» – ma per chi si appropria di quella degli ebrei non c’è censura. La giovane accademica, perlomeno, si astenne dal propagare l’antisemitismo. E vinse nel 2017 un premio come blogger dell’anno in Germania per il suo sito Read On, My Dear, Read On sulla sua famiglia perseguitata e sterminata. Quando Hingst fu scoperta, si tolse la vita all’età di 31 anni. I casi di Hingst, Born e Wolff fanno pensare a una società di creduloni. O forse tanti tedeschi si sentono a disagio quando c’è un ebreo nei dintorni. All’ebreo di turno, specialmente se discendente di qualche sopravvissuto allo sterminio, spesso il (giornale, cittadino o passante) tedesco darà istintivamente ragione, soprattutto poi se questi parla male di altri ebrei o, meglio ancora, di Israele. Un riflesso pavloviano, frutto cioè non di un ragionamento. Invece di rispondere “di pancia”, il tedesco di turno farebbe meglio a contare fino a dieci, prendere fiato, e cercare di capire chi ha davanti. Del riflesso istintivo, frutto di un rapporto ancora difficile con il popolo ebraico, si sono invece approfittati i ciarlatani del momento, con il risultato di gettare discredito su ascoltati e ascoltatori. 

 

 

 

Dai blog