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Vladimir Putin, chi è il filosofo che lo ispira: si spiega tutto

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Vladimir Putin

Corrado Ocone
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«Cosa succederà il giorno in cui crollerà il regime sovietico?». Questa domanda se la poneva, subito dopo il secondo conflitto mondiale, Ivan Il’in (1883-1954), un filosofo russo mandato in esilio dallo Stato bolscevico nel 1922 e riparato in Germania, prima, e in Svizzera, poi. La risposta che egli dava sembra quasi profetica, tanto ricalca quel che poi è effettivamente avvenuto, o meglio quella che è la narrazione dei fatti data da Putin. Dopo «un caos che durerà alcuni anni» e dopo violenze e «tentativi separatisti appoggiati dalle potenze straniere», Il’in immaginava infatti l’avvento di una benefica «dittatura nazionale» con a capo una «Guida» che «saprà quel che c’è da fare».

Sono parole che si trovano in un volume in cui il nostro raccolse nel 1953, con il titolo I nostri compiti, i suoi articoli politici, tutti improntati a un nazionalismo conservatore e militaristico oggi tornato in auge fra le élite moscovite. Fra di essi ce n’era uno in particolare – Cosa riserverà al mondo lo smembramento della Russia-, che l’autocrate al potere al Cremlino ha fatto sapere essere il suo principale testo di riferimento, tanto da citarlo in molti discorsi ufficiali e farne dono ai più alti membri dell’apparato. Putin, probabilmente, si sente proprio la «Guida» da Il’in tanto auspicata.

 

 


Bene ha fatto perciò Olga Strada, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca, a tradurlo in appendice alla prima silloge in italiano degli scritti del filosofo, ora in uscita per Aspis (Sulla Russia. Tre discorsi). D’altronde, che Il’in sia diventato il pensatore più amato da Putin, per una sorta di naturale convergenza di idee, lo si evince bene proprio dalla lettura del libro. I due punti su cui Il’in più insiste sono, da una parte, l’unità culturale e spirituale della Russia, dall’altra, la necessità di salvaguardarla dai tentativi dell’Occidente di infrangerla e annullarla. La Russia, egli scrive, è «un organismo vivo, storicamente cresciuto e culturalmente legittimato, non soggetto a smembramenti arbitrari». Questa dello smembramento favorito dall’Occidente è una sorta di fissazione di Il’in, che ha pagine preveggenti proprio sull’Ucraina: «le nazioni occidentali non capiscono e non tollerano la specificita®russa ed hanno bisogno di smembrare la Russia per portarla attraverso l’appiattimento e la disaggregazione all’annientamento». Di qui l’uso strumentale che esse fanno dei concetti di democrazia, libertà, diritti umani: una patina ipocrita per affermare il loro potere; falsi valori, che nascondono il relativismo e il nichilismo che ormai imperversa in Occidente e di cui la Russia “spirituale” deve farsi barriera. Come non pensare all’intervista di Putin all’ Economist del 2019, quando, alla luce di questi concetti, definì «obsoleto» il liberalismo occidentale? Lo scopo di Il’in era di riunificare la storia russa, superando la frattura causata dal sovietismo. Quella russa avrebbe dovuto essere una “terza via” fra i totalitasmi, a cui imputava di essere avversi alla religione tradizionale, e le ipocrite democrazie «formali». Per ottenere questi scopi, egli riteneva che bisognasse usare la violenza. Nel saggio del 1925 Sulla resistenza al male con la forza, Il’in polemizzò con Tolstoj teorico della non-violenza, la quale per lui significa «accettare il male: accoglierlo in noi e dargli libertà ,spazio e potere». Ben vengano perciò, possiamo chiosare, quegli “avvelenamenti” o “ammazzamenti” degli avversari di cui Putin è maestro e che ci hanno fatto ripiombare ai tempi del Duca Valentino. 
 


 

 

 

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