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Cina in crisi pesantissima: non ha più soldi per colonizzare l'Africa

Xi Jinping

Maurizio Stefanini
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La Cina ha smesso di dare soldi all’Africa. Probabilmente perché non ne ha più, ma forse anche perché le è venuta la sensazione che si tratta di un pozzo senza fondo. Proprio mentre la decisione di Macron di ritirare dal Niger soldati e ambasciatore rilancia il dibattito sulla crisi dell’Occidente in Africa, uno studio della Global China Initiative dell’Università di Boston ha evidenziato come dopo aver raggiunto un picco di 28 miliardi di dollari nel 2016 i prestiti di Pechino nella regione erano scesi ad appena 994 milioni. Appena un ventottesimo!

OBIETTIVI AMBIZIOSI
Il fatto che il presidente Xi Jinping pur ormai estremamente guardingo con i viaggi all’estero abbia voluto presentarsi al Brics di Johannesburg e non al G20 di New Delhi è indicativo del fatto che comunque l’Africa continua ad essere considerata importante da Pechino – oltre che delle tensioni crescenti tra Cina e India. Nell’occasione ha rilasciato numerose dichiarazioni di amicizia al continente africano, congratulandosi con sé stesso per aver, con i suoi partner, «portato le relazioni sino-africane a nuovi livelli». Messaggio chiaro: in un momento di crescente rivalità con l’Occidente, Pechino continua a vedere l’Africa come terreno strategico per costruire un’alleanza tra la Cina e il Sud del mondo. Ma se si tratta di elargire renminbi invece di parole la generosità di Xi si asciuga drasticamente, dopo anni di massicci investimenti nelle infrastrutture africane.

Vista dall’Occidente, questa nuova sobrietà è senza dubbio una nota positiva. Per anni, americani ed europei hanno criticato il debito cinese opaco e sproporzionato. Pechino è stata accusata di trascinare i paesi vulnerabili in una spirale di eccesso di debito, anche per perseguire obiettivi nascosti come il sequestro di asset strategici in caso di mancata restituzione dei crediti. In effetti, poi, nessuna infrastruttura critica è ancora passata sotto Pechino, ma invece sono i soldi cinesi che in mano a cleptocrazie corrotte sono spesso evaporati in maniera altrettanto drammatica che quelli della cooperazione occidentale. Il regime cinese non ha comunque interesse a vedere una crisi del debito che si diffonda in tutto il continente, macchiando la propria reputazione e costringendolo a rinegoziare i propri debiti. E poi, appunto, ci sono i problemi dell’economia cinese, ulteriormente evidenziati dall’ultimo botto di Evergrande: crescita via via sempre più lenta; valuta vacillante; calo delle esportazioni.

POCHI IMPEGNI
Andando ai conti aggregati, secondo il database Chinese Loans to Africa (Cla), gestito dal Global Development Policy Center dell’Università di Boston, tra 2000 e 2022 39 istituti di credito cinesi hanno fornito 1.243 prestiti per un importo di 170,08 miliardi di dollari a 49 governi africani e sette istituzioni regionali. Sarebbe il 64% dei 264,15 miliardi di dollari della Banca Mondiale e quasi cinque volte i 36,85 miliardi di dollari della Banca Africana di Sviluppo. Ma per gli anni 2021 e 2022 messi insieme il database ci indica solo 16 nuovi impegni di prestito per un valore di 2,22 miliardi di dollari da parte di istituti di credito cinesi a mutuatari governativi africani, il che significa appunto due anni consecutivi di prestiti all’Africa inferiori a 2 miliardi di dollari

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