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Israele, accusa contro il Vaticano: "Perché è ambiguo su Hamas"

Fausto Carioti
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Una presa di posizione «deludente e frustrante», carica di «immorale ambiguità linguistica», indegna di «persone di fede». Come già accaduto altre volte nella storia recente, lo Stato di Israele scopre nel momento più difficile che il Vaticano non è dalla sua parte. Non quanto vorrebbero Benjamin Netanyahu e i suoi, di sicuro. Pur condannando le violenze, la diplomazia della Santa Sede resta infatti sostanzialmente equidistante tra israeliani e palestinesi, e per il governo di Gerusalemme, che vede i propri civili massacrati dai terroristi di Hamas, questo è inaccettabile. L’obiettivo ufficiale delle durissime parole usate dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede sono i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme, ma l’impressione è che, contestando loro, Israele additi una linea che vede diffusa nelle alte gerarchie vaticane.

IL RUOLO DI PIZZABALLA - La dichiarazione congiunta di Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme appena creato cardinale da papa Francesco, e degli altri custodi della fede cristiana in Terra Santa, risale al 7 ottobre. Costoro condannano «senza riserve qualsiasi atto che prenda di mira i civili», ma lo fanno rivolgendosi in modo generico a «tutte le parti coinvolte», alle quali chiedono «la cessazione di tutte le attività violente e militari che causano danni sia ai civili palestinesi che israeliani». Nessuna distinzione tra aggressore e aggredito, insomma: israeliani e palestinesi sono messi, anche stavolta, sullo stesso piano. Non viene citata Hamas, la parola «terrorismo» non appare.

 

 

E ieri la replica dell’ambasciata israeliana ha toccato livelli di durezza che tra i due Stati non si vedevano da tempo. La diplomazia israeliana in Vaticano ricorda che «intere famiglie, nonni, genitori, bambini piccoli sono stati giustiziati a sangue freddo dai militanti palestinesi di Hamas e della jihad islamica».
Molti hanno avuto il coraggio di chiamare i colpevoli per nome, ma Pizzaballa e gli altri patriarchi no: dalle loro parole «non si riesce a capire cosa sia successo, chi fossero gli aggressori e chi le vittime».

Un testo, il loro, giudicato «estremamente deludente e frustrante» da leggere, tanto risulta «affetto da immorale ambiguità linguistica». È «particolarmente incredibile», rincarano i rappresentanti di Gerusalemme, «che un documento così arido sia stato firmato da persone di fede». L’ultima frase è per Pio XII e le relazioni ebraico-cristiane ai tempi del suo pontificato, alle quali è dedicato un convegno di tre giorni iniziato proprio ieri all’università Gregoriana: «A quanto pare», attacca l’ambasciata israeliana, «qualche decennio dopo, c’è chi non ha ancora imparato la lezione del recente passato oscuro».

Le parole degli emissari del governo di Netanyahu non potrebbero essere più dure ed indicano un logoramento dei rapporti esploso in questi giorni, ma che va avanti da tempo. Lo stesso Piazzaballa, fedelissimo di Bergoglio, ha più volte definito la striscia di Gaza «una prigione a cielo aperto», i cui carcerieri sarebbero ovviamente gli israeliani, che di lui ricordano quando nel 2002, durante la seconda intifada, aprì le porte della Basilica della Natività a Betlemme ai terroristi di Hamas che fuggivano inseguiti dall’esercito di Israele, e li tenne protetti e rifocillati per trentanove giorni, finché, con la mediazione dello stesso prelato, non fu trovato un modo per garantire la loro incolumità.

 

 

PAROLIN E BERGOGLIO - Dietro tutto questo s’intravede comunque una questione più profonda, quella dei rapporti tra Jorge Mario Bergoglio ed Israele. Sulla quale pesa la cautela della diplomazia vaticana, in mano al segretario di Stato Pietro Parolin. Anche lui, come lo stesso pontefice, ritenuto da molti osservatori vicini a Gerusalemme troppo tiepido nella condanna dei torti palestinesi. Il retaggio di una posizione antica, storicamente dovuta anche alla presenza di cristiani all’interno della popolazione palestinese, che oggi però dovrebbe essere meno rilevante, visto che il loro numero, in calo progressivo, ormai è valutato intorno all’1% degli abitanti della zona di Gaza, e in una quota appena superiore di quelli della Cisgiordania. Lo stesso Parolin ieri è intervenuto sui massacri in atto, parlando proprio al convegno su Pio XII. Ha condannato «il terrorismo, la violenza, la barbarie e l’estremismo», sostenendo comunque che la situazione non potrà cambiare «finché non si risolve il problema della convivenza fra palestinesi e israeliani» e chiamando quindi in causa il governo di Gerusalemme. È la linea di papa Francesco, il quale, durante l’Angelus di domenica, ha detto che «il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione», evitando però di distinguere le responsabilità delle due parti e di formulare condanne esplicite per Hamas. 

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